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lunedì 8 marzo 2021

Rivoluzioni!

A novembre del 2008 Vladimir Luxuria, ex parlamentare di Rifondazione Comunista e simbolo transgender, vinceva L'isola dei famosi, noto programma Fininvest ed emblema dei reality show. Il quotidiano del partito, Liberazione, allora diretto da Piero Sansonetti, paragonava questa vittoria all'elezione a presidente degli Stati Uniti di Obama, mettendo la foto di Luxuria in prima pagina e dando una lettura dell'evento di assoluta rottura, di fenomeno "rivoluzionario" per la società italiana. Sarebbe ingrato ora chiederne riscontri, sia per quanto riguarda il percorso di Vladimir Luxuria (non mi sembra faccia più politica ma saltabella da una trasmissione all'altra in qualità di opinionista di costume) che per quanto riguarda il quotidiano Liberazione o il Partito della Rifondazione Comunista, definitivamente chiuso il primo e certo non in buone acque il secondo. Ma sarebbe ancora più imbarazzante chiedere riscontri di quella fantomatica rivoluzione del costume in un paese come il nostro oggi, dove i due partiti dalle ideologie reazionarie, omofobe e sessiste raggiungono oltre il 40%, o dove continuano con straziante continuità i femminicidi. E così, di quell'evento tutto mediatico, prodotto televisivo di mercato, rimane ben poca traccia, assorbito dal consumo e infantilmente paragonato ad eventi di ben altra natura. 



"Con i Maneskin (e non solo) a Sanremo 2021 ha vinto la rivoluzione. Questa edizione ha avuto il suono di una generazione nuova e ha segnato uno strappo fortissimo con il passato. Artisti che sfuggono alla grande industria, crescono nei nuovi media, e segnano una profonda distanza dalle generazioni precedenti". Questo uno dei titoli di Repubblica online, a firma del ben noto critico musicale Ernesto Assante, che nel suo facebook commenta ulteriormente e rincara la dose.

Confesso di non aver visto nulla di Sanremo 2021, come molte altre volte, ma poi, incuriosito dai commenti, sono andato a vedere i video di qualche brano, in particolare dei vincitori ovviamente. Dunque, il problema non è Sanremo nè i Maneskin o il resto dei cantanti. Il festival della canzone italiana è un prodotto commerciale, lo è sempre stato, e più che alla creazione artistica è interessato al mercato, alla vendita di spazi pubblicitari e all'audience. Tuttalpiù, come ogni prodotto commerciale, può registrare, inconsapevolmente o meno, dei cambiamenti in atto all'interno della società, delle modificazioni dei gusti o dei comportamenti. E Sanremo, con notevole ritardo rispetto a ciò che si muoveva nel paese dal punto di vista artistico/musicale, lo ha sempre fatto. D'altronde è un prodotto, e come tale deve essere venduto e per venderlo al meglio deve cercare di interpretare i gusti da una parte e dall'altra anche indirizzarli. Non a caso in queste ultime edizioni c'è sempre stato il trionfo di interpreti che venivano dai talent, certificando, anche qui con ritardo, il successo di questi format. Saranno rivoluzionari anch'essi?

Ma andiamo avanti. Che si tratti di rivoluzione per quel che concerne Sanremo 2021 Assante lo attribuisce a tutta una serie di fattori, tra i quali la vittoria di un gruppo di giovani che fa rock, la presenza di artisti poco conosciuti e fuori dalla grande industria (?), l'esecuzione di cover particolari come brani di CCCP/CSI o Guccini, e in definitiva l'esulare dal gusto medio, il rifuggire dagli ascolti tipici del nostro "fornaio, tassista, medico di base".

Per un gruppo che ha partecipato a X Factor essere definiti poco conosciuti e fuori dal mercato può benissimo considerarsi un successo, molto più della vittoria a Sanremo. E credo che Assante, in fatto di gusti sia rimasto un po'  indietro, se pensa che il nostro tassista o il fornaio oppure il medico di base non conoscano i Maneskin. Va detto, comunque, che l'ascoltatore medio spesso non conosce, o non conosce bene, i vincitori del festival, che sappiamo essere frutto di manovre particolari e non certo sinonimo di qualità. Ma vorrei dire che anche il fatto di essere giovani non rappresenta in sè l'essere rivoluzionari. Il Volo, quella sorta di brutta copia di Andrea Bocelli, è formato da tre giovanissimi e non penso gli si possa dare quell'appellativo. Per quanto riguarda il rock: credo che proprio questa vittoria ne certifichi la crisi profonda. Ormai è come musica leggera (anzi, leggerissima!) e il brano dei Maneskin può certamente essere definito rock, ma solo superficialmente, ne è come colorato, ne porta lontanamente il sapore. A parte il fatto di essere banale, sia nei suoni che nel testo, nell'interpretazione e nella forma, questo "rock" ha perso totalmente le caratteristiche di espressione giovanile di protesta, di canale espressivo artistico che sperimenta, che osa, per trasformarsi in cover di se stesso, in riproduzione scadente dell'originale totalmente slegato dalle dinamiche sociali se non come prodotto commerciale. 

Ma, come dicevo prima, il problema non è certamente il Festival o i suoi partecipanti. Fanno il loro mestiere, più o meno bene. Sono prodotti televisivi che hanno un determinato target, devono rispettare alcune formule, producono senso comune. E, con buona pace di Assante, non penso che questa vittoria dei Maneskin porterà, in futuro, un innalzamento del livello medio artistico/musicale del nostro paese. Il problema è proprio questo: a fronte di un format che privilegia il prodotto di mercato, di facile consumo, c'è poco o nulla che si muova al di fuori di esso. Sanremo c'era anche negli anni Sessanta e Settanta, ma c'era anche molto altro. Io non accuso Sanremo di essere Sanremo, ma accuso coloro che hanno responsabilità intellettuali (sempre meno va detto) di veicolare messaggi falsi in ciò contribuendo pesantemente all'isterilimento artistico. Parlare di rivoluzione a Sanremo significa far credere che quel brano, quelle canzoni, quei presentatori siano altro da ciò che sono, e cioè canzonette, qualcuna buona qualcun'altra meno, e stantii personaggi da avanspettacolo. Dare dignità di messaggio rivoluzionario a un banale "rock" significa ingabbiare all'altare del mercato e della mediocrità le spinte creative che ogni giovane generazione deve avere, significa indirizzare le idee verso un modello che nulla ha di rivoluzionario, nè dal punto di vista artistico nè dal punto di vista del costume. Se pensiamo che sia sufficiente urlare una brano dei CCCP vestiti in modo stravagante per fare una performance "eversiva", allora non avremo più nulla di certamente eversivo, ma solo banali riproposizioni e caricature. Il problema non è Sanremo. Il problema è il realismo sanremese, o il realismo dei talent, l'idea che tutto debba passare da quel contesto che non è neutro ma è materialmente responsabile di un certo tipo di elaborazione artistica, quella che funziona, quella che vende. E che certo non può essere rivoluzionaria. 


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