Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Swingin' London. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Swingin' London. Mostra tutti i post

lunedì 23 marzo 2020

Swingin' London

In tempi di Brexit (e di molto altro, purtroppo) non sarebbe proprio il caso di pubblicare questo post, ma tutto sommato male non fa. In realtà questo scritto è parte di un'ampia ricerca sulla scena di Canterbury, pubblicata in 4 puntate sulla rivista Prog Italia. Parzialmente rielaborato e corretto, mi sembrava comunque utile metterlo su questo blog. Buona lettura!


Swingin’ London

Il miracolo economico degli anni ‘50, soprattutto negli Stati Uniti, e poi anche in Gran Bretagna e nel resto d’Europa, produsse per la prima volta nella storia dell’occidente, una massa di adolescenti in grado di “consumare” oggetti e musiche per il loro tempo libero e quindi di affermarsi come area omogenea, ben distinta dai bisogni e dalle esigenze degli adulti. Questo trasformò l’industria musicale, che si ritrovò a disposizione un mercato diverso dal passato ma ricco di esigenze e affamato di novità.



La musica rock, spodestando in questo senso il jazz, “divenne il mezzo multiuso per esprimere desideri, istinti, sentimenti  e aspirazioni”[1] del mondo dei giovani. Le vendite dei dischi negli Stati Uniti, dal 1955 (anno di nascita del rock‘n’roll) al 1959, crebbero con percentuali altissime rispetto al passato[2] e mostrarono le potenzialità che la nuova musica giovane aveva per l’industria discografica. Industria che tuttavia, agli inizi degli anni ‘60, si trovò in difficoltà nel tentare di proporre cloni di Presley o personaggi non così dirompenti nell'immaginario giovanile come lo furono i primi cantanti rock‘n’roll. 



La registrazione del primo 45 giri nel 1962 da parte dei Beatles diede l’avvio ad una nuova grande rivoluzione nell’ambito della musica pop a livello internazionale. Per uno strano destino,  il testimone della ri-nascita del rock passò dagli Stati Uniti al vecchio impero britannico ormai in decadenza, ma capace di riportarsi al centro della scena mondiale con la sua produzione artistica. L’esplosione dei Beatles e, in generale della musica rock inglese, è preceduta da una forte attività artistica che segue i binari dell’imitazione e, allo stesso tempo, dell’autonomia[3].
L’esempio dei folk singer americani porta alla presa di coscienza del patrimonio popolare inglese, sia in una dimensione più propriamente folk che sotto l’aspetto politico e militante. Il grande successo, nell’immediato dopoguerra,  del jazz tradizionale “…lascia il posto allo skiffle, una sorta di versione proletaria del rhythm and blues che si poteva suonare anche senza conoscere la musica e con strumenti d’occasione”[4] ed è da qui che anche i Beatles passeranno.



Accanto alle imitazioni del rock‘n’roll americano  l’altro grande filone su cui si muove la musica inglese è il blues. “All'origine corrisponde al mito crescente dell’America”[5], ma agli inizi degli anni ’60 diventa un fenomeno tipicamente britannico (anzi, londinese), con una serie di gruppi e musicisti importanti per gli sviluppi futuri della scena musicale anglosassone. 
E il blues diventa un terreno comune dove suonano insieme i primi jazzisti inglesi e musicisti rock. Significativi, da questo punto di vista, sono i Bluesbrakers di John Mayall e la formazione di Alexis Korner, Blues Incorporated: qui “muovono i primi passi personaggi del calibro di Mick Jagger, Brian Jones, Keith Richards, Charlie Watts (i Rolling Stones!), ma anche importanti esponenti del jazz inglese quali John Surman, Dave Holland,”[6] e  Lol Coxhill. 
E’ importante sottolineare questa vicinanza e condivisione di esperienze tra jazzisti e rockers, perché poi questo elemento scomparirà nel corso degli anni e rimarrà presente solo nelle vicende dei musicisti di Canterbury.
Beat da una parte e rock blues dall'altra formano inizialmente quel grande fiume musicale che dà vita alla British Invasion dell’America e del mondo occidentale, che fa da colonna sonora ai sogni ed alle aspirazioni dell’universo giovanile europeo ed americano, che spinge migliaia di giovani  ad affrontare la carriera musicale, seguiti in questo da manager, etichette discografiche, impresari.



Il grosso impatto che ebbe la musica rock è solo un tassello della più ampia rivoluzione culturale che si ebbe, a livello mondiale, nel corso degli anni ’60. L’insofferenza dei giovani verso regole, comportamenti, leggi e istituzioni fu dirompente e dal mondo anglosassone s’innescò l’esplosione.
L’universo giovanile esplorò e rivoluzionò tutti i linguaggi artistici, trovando in alcune città, prima fra tutte Londra, la swingin’ London, la propria residenza eletta, il luogo dove poter sperimentare la “rivoluzione psichedelica”, dove produrre quegli elementi di una società diversa, più libera, più giusta, più creativa.
Il 1968, con la sua carica di gioia e di rivoluzione, spazzò vecchie consuetudini, antichi retaggi culturali, politiche reazionarie e impose al mondo intero l’idea che una rivoluzione, in alcuni casi solo culturale, in altri politica e sociale, fosse possibile. E il soggetto trainante fu quell'universo giovanile che diventò talmente importante da modificare profondamente e per lungo tempo gli assetti sociali, politici e culturali delle società occidentali e non solo.



Un tale sommovimento non poteva non toccare, in modo significativo ovviamente, tutte le espressioni artistiche e quindi anche la musica jazz. L’esplosione del free negli Stati Uniti consentì ai musicisti europei un approccio più originale al jazz e all'improvvisazione, ponendo un serio argine ai fenomeni di emulazione che tanto avevano connotato le prime esperienze jazz nel vecchio continente. E’ in Inghilterra, e soprattutto a Londra, che cominciano ad intrecciarsi diverse esperienze tra loro e che verranno a maturazione agli inizi degli anni ’70. 
La musica improvvisata dei vari Derek Bailey, Trevor Watts, Paul Rutheford, Evan Parker, il jazz degli esuli sudafricani McGregor, Pukwana, Dyani, Moholo, Feza, il rumorismo e l’avanguardia degli AMM di Cardew, Prevost e Rowe, il Ronnie Scott Club con i vari Westbrook, Surman, Holland e McLaughlin, la già citata fucina blues di Alexis Corner e, ovviamente, il rock psichedelico dei Soft Machine e dei Pink Floyd, un calderone creativo e unico che solo una città come la Londra degli anni ’60 poteva ospitare. “L’interesse per la pittura, la poesia, la narrativa, il teatro, il balletto e la scultura, rese più urgente liberare la creatività dai confini formali che separavano i generi musicali e le arti tra di loro; poter suonare insieme quando le distanze si ricoprono con poche fermate di metropolitana , agevolò molto lo scambio quotidiano”[7], e generò musiche “ibride”, nuove rispetto al passato, in un fuoco di passione e creazione che non avrà più eguali. 
Ma la grande onda creativa, al volgere degli anni ’70, comincia a ritrarsi, a “istituzionalizzarsi”, con la moltiplicazione di stili e la professionalizzazione del musicista rock, ora più attento alle vendite ed alle mode. Se da una parte, tra il  1970 e il 1971, escono Elastic Rock dei Nucleus di Ian Carr (sul filone jazz rock aperto dal Miles Davis di Bitches Brew),  Third dei Soft Machine, Septober Energy dei Centipede di Keith Tippett (una sorta di Woodstock da studio di registrazione, con la numerosa presenza di musicisti jazz e rock inglesi), Brotherood of Breath dei musicisti sudafricani esiliati a Londra, dall'altra l’inizio dei ’70 vede anche la morte di tre fra i più grandi e famosi esponenti della scena rock internazionale: Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison. E’ come una sorta di canto del cigno, la creatività e la/le fusione/i si ritirano nell'alveo sicuro della stabilizzazione e della normalizzazione. 



La crisi economica degli anni ’70, acuita dallo shock petrolifero del 1973, pone le basi per un costante e definitivo abbandono di un modello di sviluppo non più sostenibile da parte del capitalismo. La piena occupazione, il welfare esteso che proprio in Gran Bretagna avevano trovato uno sviluppo crescente, cominciano ad entrare in crisi e i sogni di rivoluzione si diradano lasciando  il posto alla rabbia e alla disperazione di una disoccupazione sempre più estesa (nel 1977 esplode il fenomeno punk, sempre a Londra) e di un allentamento delle tutele sociali da parte dello stato. 
Dal punto di vista musicale, negli anni ’70 “il rock perde quel suo imponente senso della marea montante, la sua creatività unidirezionale, per disperdersi in mille diversi campi. Se prima era un grande fiume , ora diventa un arcipelago”[8]. E’ un fenomeno che toccherà anche il jazz, emarginato nei suoi sviluppi free e avanguardisti, ma di crescente popolarità nella sua fusione con il rock.

In ogni caso il ruolo di Londra negli anni '60 e '70 nell'evoluzione, nel parziale depotenziamento e infine nella radicale mutazione dell'estetica delle musiche popolari e del loro intreccio costante con le dinamiche dell'universo giovanile è fondamentale,  propulsivo. 
“Riassumendo: un intreccio di circostanze plasmò a Londra un’intera generazione di musicisti; l’amore per i maestri americani, la passione per i toni insurrezionali del free, la fedeltà tutta inglese, indistruttibile, alla tradizione, al folk, il piacere di suonare blues, il divertimento adolescenziale del putiferio beat, la provocazione intellettuale suggerita dal gruppo Fluxus, le caleidoscopiche avventure nello spazio psichedelico e l’incontro ravvicinato con i fratelli sudafricani”[9].



 pop 


[1] E. Hobsbawm , “Gente non comune”, RCS Libri, Milano, 2000, pag. 361
[2] E. Hobsbawm , Ibid. pag. 360
[3] G. Castaldo, “La terra promessa”, Feltrinelli Editore, Milano, 1994, pag. 94.
[4] A. Carrera, “Musica e pubblico giovanile”, Feltrinelli Editore, Milano, 1980, pag. 83
[5] Ibidem, pag. 94
[6] G. Nanni, “Rock Progressivo Inglese”, Castelvecchi Editore, Roma, 1998, pag. 17
[7] C. Bonomi – G. Fucile, “ Elastic Jazz”, Auditorium Edizioni, Milano, 2005, pagg. 19-20
[8] G. Castaldo, “La terra promessa”, cit., pag. 202
[9] C. Bonomi – G. Fucile, “Elastic jazz”, cit., pag. 22

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

  Kevin Ayers And The Whole World SHOOTING AT THE MOON Harvest 1970 Il secondo album solista di Kevin Ayers vede al suo fianco, al co...