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domenica 24 marzo 2019

Eric Dolphy, l’inaudito

Si fa un gran parlare ( anzi, riparlare) di Eric Dolphy in questo periodo, per via di una nuova uscita discografica che contiene alcune sue registrazioni mai pubblicate prima e cose invece già note, con in aggiunta uno splendido ed esauriente booklet.
Ma non è di questo cd che voglio parlare , non ora perlomeno, ma di un altro disco, meno conosciuto e che ho avuto la fortuna solo da poco di conoscere ed apprezzare.
Eric Dolphy ha inciso ben tre album con Oliver Nelson, tutti e tre a nome di quest’ultimo. Il più famoso è The Blues And The Abstract Truth, registrato per la Impulse il 23 febbraio del 1961. Quasi un anno prima la coppia registra per la Prestige, il 27 maggio 1960, Screamin’ The Blues. Per il disco della Impulse la ritmica è formata da Roy Haynes alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso e Bill Evans al pianoforte. In aggiunta ai sassofoni di Dolphy e Nelson ( qui Dolphy suona anche il flauto) c’è la tromba di Freddie Hubbard. L’altro disco vede alla batteria sempre Roy Haynes ma con George Duvivier al contrabbasso, Richard Wyands al pianoforte e Richard Williams alla tromba.

Il terzo disco è Straight Ahead, registrato per la Prestige qualche giorno dopo The Blues And The Abstract Truth, il primo marzo 1961. Stessa formazione del primo disco ma senza il trombettista Richard Williams. Ed è proprio su quest’ ultimo che mi voglio soffermare.
Non voglio fare un’analisi particolareggiata, né lanciarmi in accurate disamine tecnico musicali che non è il caso di postare qui su questo blog. Semplicemente, commentare e raccontare con estrema leggerezza questo terzo disco, del quale non avevo conoscenza.



È un disco sorprendente, per molti versi paragonabile al capolavoro della Impulse. Straight Ahead colpisce immediatamente l’ascoltatore per una freschezza unica e per un’altissima qualità compositiva. I sei brani sono uno più bello dell’altro, la solita e mai banale combinazione di blues e funky, sempre elegantemente arrangiati e strutturati con originalità da Oliver Nelson, tra sapienti introduzioni, cambi di tempo e code inaspettate. Ma quello che emerge da questo album è l’eccezionale capacità improvvisativa di Dolphy, qui al sax, al clarinetto basso e al flauto. Il contrasto, la grande differenza stilistica tra i due fiati produce una continua sorpresa, un meravigliarsi inatteso che tiene l’ascoltatore inchiodato all’ascolto. L’irruenza di Dolphy, la sua libertà espressiva rendono l’eleganza, in alcuni casi un po’ di maniera, di Nelson per certi versi sorprendente e  inaspettata. 
Vorrei un po’ soffermarmi su Dolphy, sul suo approccio improvvisativo. A volte sembra un sismografo impazzito, che produce diagrammi quasi sempre fuori dai limiti, ma quei limiti vengono allo stesso tempo travalicati e rispettati, come in una continua sfida. Eric sembra non avere alcun problema nel liberarsi dalla griglia armonica dei brani pur, nei fatti, seguendola. L’inaudito suona conforme, quasi rassicurante, e trascina la mente in un vorticoso viaggio ai confini del già noto. Molto probabilmente Dolphy è l'unico musicista di area free che riesce a collocare il suo approccio improvvisativo, così originale e libero, anche all'interno di strutture e composizioni per così dire regolari, consuete.
 I suoi strumenti, sax alto, clarinetto basso e flauto, vengono sottoposti a continue pressioni, quasi dilatati per poter contenere tutta l'energia e la quantità enorme di idee e frasi, suoni e rumori che Eric produce come in un flusso continuo. Il suo stile si modifica a secondo dello strumento che suona, affermandosi come vero multi strumentista capace di approcciare in modo originale i diversi strumenti musicali.

"Io penso al mio modo di suonare come a qualcosa di tonale. Suono note che non sono normalmente considerate presenti nell'accordo dato, ma le sento giuste. Non penso di abbandonare la struttura armonica: ogni nota che suono ha qualche rapporto con gli accordi del brano". 
Eric Dolphy

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