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martedì 16 aprile 2019

Impro, Prog e Punk!

In un mio precedente post (https://impropop.blogspot.com/2019/04/a-proposito-di-progressive.html) avevo accennato alla pratica improvvisativa in ambito rock, poi debellata in gran parte nello sviluppo del Progressive. Ne avevo dato una lettura centrale per quanto riguardava il triennio 1966/69, con l'esplosione della Psichedelia e le sperimentazioni ad ampio raggio compiute dalla stragrande maggioranza dei gruppi.

Quando parliamo di improvvisazione nel rock facciamo riferimento a quella che Derek Bailey ha chiamato improvvisazione idiomatica, circoscritta in maggior parte a lunghi assoli chitarristici o di tastiere. Ma in alcuni casi si è fatto uso di improvvisazioni più o meno libere, cioè non propriamente idiomatiche. I primi Pink Floyd, Soft Machine, in alcuni casi King Crimson, un certo Zappa e gli Henry Cow, ma anche le lunghe suite psichedeliche dei Grateful Dead o i Gong hanno in parte un'attitudine libera. Possiamo comunque convenire con il fatto che di improvvisazione il rock non ne abbia fatta molta, o comunque non ne costituisce l'essenza, o la priorità. Ma perché allora diventa centrale? Perché se fosse stata sviluppata e incrementata come sembrava potesse esserlo avremmo avuto un corso differente degli eventi storici del rock. Quella musica così affascinante e rigogliosa non sarebbe caduta nell'asfissia di certo Prog e non sarebbe stata spazzata via così facilmente.
Nel bel libro di Simon Reynolds, Retromania, c'è un interessantissimo capitolo che riguarda il Punk. L'autore lo considera un fenomeno nato da impulsi reazionari, regressivo, che comunque guarda al passato, al primo rock suonato con pochi accordi, in maniera semplice e concisa, privo di improvvisazioni. Non sono del tutto d accordo con questa definizione ma è vero che, esaurita la prima spinta propulsiva del punk, la musica rock si è via via incanalata in un percorso sempre più ristretto, da una parte con lo sguardo all'indietro, dall'altra con la commercializzazione e l'atrofia creativa. Ecco perché l'improvvisazione avrebbe potuto svolgere un ruolo decisivo nell'alterare gli accadimenti verso un'altra direzione, e allora il punk non avrebbe avuto così vita facile. O forse ne sarebbe stato influenzato indirizzandosi verso un'estetica differente, più aperta e meno iconoclasta.


Voglio dire: non necessariamente l'improvvisazione è la giusta terapia per crisi più o meno creative, e non sempre assolve al suo compito, cioè quello di veicolare la musica su lidi sorprendenti e inauditi. Per quanto riguarda un certo rock, quello garage, straccione e sporco, privo di assoli ma pieno di adrenalina e immensamente caustico, quel punk urlato e distorto che distrusse in un solo anno i muri dei castelli del rock e ne ricostruì le fondamenta, ecco quello non aveva e non ha assolutamente bisogno dell'improvvisazione. E'  ben definita la sua estetica e risponde all'urgenza di energia e rassicurazione allo stesso tempo, di certezze scolpite e elettrificate con vigore e risolutezza. Ma quelle musiche che avevano infranto i confini della composizione breve, la strofa e il ritornello, il ritmo regolare e le melodie accattivanti, avevano assolutamente necessità di improvvisazione per poter continuare il loro percorso creativo.  Non fu così ed allora si tornò, pur modificati, ai vecchi codici, alle radici. Ma la linfa vitale è durata pochi anni, e tutto si è esaurito in un ritorno al pop più o meno commerciale e a presunte musiche alternative o indie che dir si voglia; la fine della spinta propulsiva del rock. 


La critica è inutile, non può esistere che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun carattere di universalità.
Tristan Tzara

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