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giovedì 7 gennaio 2021

Weird Tales. Twink, the pink drummer

Le avventure di un batterista underground tra psichedelia e punk

 

Le vicende della musica rock inglese hanno spesso nascosto o messo da parte i personaggi che non rientravano nella trattazione classica, quelli che esulavano dai generi o se ne mantenevano ai margini. Nel racconto emerge sempre un susseguirsi di eventi che sembra stritolare le personalità contrastanti e fluttuanti. Eppure, il nostro Twink (all’anagrafe John Charles Edward Adler), magistrale batterista, cantante, attore, si è trovato nel corso della storia al posto giusto e nel momento giusto, niente da dire su questo. Nella Swingin’ London e nella Londra del punk, all’Ufo club come a Ladbroke Grove o tra le fila della Chiswick Records, la prima indie label britannica.  È stato l’ultimo hippy e allo stesso tempo un punk ante litteram, ma tutto questo invece che portargli gloria ha finito per lasciarlo ai margini, forse volutamente.



Batterista dei Tomorrow, mitico gruppo psichedelico con lo Steve Howe dei futuri Yes nelle fila, artefici di due fra i più popolari singoli della Londra Underground del 1967, My White Bycicle e Revolution, e di un omonimo Lp, Twink poi approda in un’altra grande band della Londra alternativa, i Pretty Things. Ma prima di approdare nel gruppo di Phil May e Dick Taylor forma un duo con l’ex bassista dei Tomorrow John “Junior” Wood chiamato The Aquarian Age e registra un singolo, 10.000 Words In A Cardboard Box/Good Wizard Meets Naughty Wizard, che poi ritroveremo più avanti nella nostra storia. Ma, come dicevamo, Twink, ormai già famoso nei circuiti alternativi, prende il posto di Skip Alan dietro i tamburi dei Pretty Things e registra con loro uno dei capolavori del rock inglese. S.F. Sorrow, pubblicato nel dicembre 1968, è il disco della svolta psichedelica del gruppo basato sulla storia drammatica del protagonista Sebastian F. Sorrow.  Primo concept album che anticipa il Tommy degli Who, purtroppo per il gruppo non riscuote il successo sperato e questo provoca l’abbandono temporaneo del chitarrista Dick Taylor nel giugno del 1969. A questo punto Twink, pur essendo formalmente ancora un membro dei Pretty Things, inizia a pensare in proprio e registra alcuni demo insieme al suo vecchio amico John “Junior” Wood e a Steve “Peregrin” Took dei Tyrannosaurus Rex di Marc Bolan. La Sire, un’etichetta discografica americana che aveva pubblicato il disco dei Tomorrow negli States, gli offre la possibilità di registrare un album a suo nome e lui, ovviamente, accetta. Il periodo certo non è lo stesso di qualche anno prima, quando una Londra effervescente era il luogo di residenza privilegiato della sperimentazione in tutte le arti, atmosfere vibranti cariche di creatività e ribellione. La psichedelia è ormai defluita nelle retrovie e una certa aria di riflusso pervade sia la società che ovviamente la musica. Nonostante questo Twink si imbarca in un progetto che tenta, con successo va detto, di tenere in vita quel mix di stravaganza, improvvisazione e visionarietà tipico della musica psichedelica e inizia le registrazioni del suo primo disco solista, Think Pink.


L’elenco dei musicisti che collaborano alla realizzazione del disco è significativo e anticipa anche gli sviluppi futuri della carriera di Twink. Accanto a Wood e Took ci sono membri dei Pretty Things come Phil May, il chitarrista Vic Unitt, il bassista Wally Allen e il tastierista John Povey. E poi il chitarrista Paul “Blackie” Rundolph, il bassista Duncan “Sandy” Sanderson e l’attivista e agitatore culturale Mick Farren, tutti membri dei Deviants, un gruppo garage rock dalle sonorità sperimentali e protopunk, una sorta di Fugs londinesi.

L’apertura è affidata a The Coming Of The Other One, caratterizzata da voci trattate, chitarre e sitar in sottofondo, in un paesaggio psichedelico vicino a Syd Barrett e con frammenti di un poema di Nostradamus sul Giorno del Giudizio. Il secondo brano è quella Ten Thousand Words In A Cardboard Box del singolo degli Aquarian Age, qui in una versione più psichedelica, con la chitarra di Paul Rudolph che attraversa tutto il brano e nel finale erompe in un assolo acido, allucinogeno, incalzato dalla movimentata ed agile ritmica di Twink e Junior Wood. Dawn Of Magic è un bordone ipnotico e surreale, un mantra colorato, mentre la successiva Tiptoe On The Highest Hill (già nel repertorio degli Aquarian Age) è, probabilmente, l’apice del disco. Una commovente e sognante ballad, con la strabiliante chitarra di Rudolph al contrario, che può benissimo dirsi l’essenza della musica psichedelica. Chiude la prima facciata Fluid, un inizio sexy con una voce femminile in estasi e un lungo e piacevole crescendo fino all’esplosione finale caratterizzata dagli accordi di una chitarra estremamente distorta e l’altra impegnata in brevi ricami psichedelici, con i piatti e le rullate di Twink ad esaltare il tutto.  

La seconda facciata del disco si apre con Mexican Grass War, musica free form elaborata collettivamente in studio, caratterizzata da tamburi di guerra e voci confuse, con la chitarra distorta che trafigge il brano fino ad un parossistico finale. Rock An’ Roll The Joint è una sorta di hard rock blues, dalle parti di Hendrix, mentre Suicide è in puro stile Tomorrow/Pretty Things di S.F.Sorrow, chitarre acustiche, stop and go e la solita atmosfera sognante e fluida. Three Little Piggies vede insieme Syd Barrett e Daevid Allen, una buffa filastrocca tipicamente sixties, un divertissement psichedelico. Chiude il disco The Sparrow Is A Sign, anch’essa composta in studio ma con un contributo particolare di Steve Took, ed è un anomalo e disorientante rock attraversato, al solito, da una grande lavoro di chitarra di Paul Rudolph.



Twink e i suoi compagni, con Think Pink, elaborano un piccolo capolavoro, certo nei suoni leggermente datato ma assolutamente ancora fresco nell’approccio e nello sviluppo di un linguaggio espansivo e sperimentale. Un disco di autentica musica psichedelica, una miscela di pop, rock e improvvisazione free form, con atmosfere dilatate e suoni eterei, melodie sognanti e stravaganze sonore.

Si tratta di quei lavori unici per certi versi, eccentrici e irripetibili che spesso sono poco conosciuti o apprezzati. Potrebbe essere fatto un parallelo con The End Of The Game di Peter Green, tra l’altro uscito nello stesso anno, il 1970, per come viene affrontata la materia musicale, e per il ruolo che riveste l’improvvisazione nella composizione delle musiche, anche se ovviamente il lavoro di Peter Green è innervato completamente di blues.

Come detto Think Pink, con la splendida copertina dello studio Hipgnosis, esce nel 1970 non prima di essere stato rimixato dallo stesso Twink, insieme a Steve Took, perché insoddisfatto del lavoro fatto da Mick Farren, che rivestiva per l’appunto il ruolo di produttore e arrangiatore. Nonostante questi contrasti con il leader dei Deviants, Twink è intenzionato a costituire una nuova band proprio con Mick e Steve Took, una specie di supergruppo composto da ex Pretty Things, Tyrannosaurus Rex e Deviants per l’appunto. È proprio per quest’entusiasmo riguardo il nuovo progetto che il disco solista di Twink praticamente non avrà promozione e verrà dimenticato dallo stesso autore, che lo considererà come una sorta di primo album della nuova formazione, i Pink Fairies.



Dopo un disastroso concerto a Manchester la nuova band finalmente si stabilizza con i vecchi membri dei Deviants Paul Rudolph, Duncan Sunderson, Russell Hunter (una line up con doppia batteria!) ma senza Mick Farren e Steve Took.  Il nome deriva da un locale chiamato Pink Fairies Motorcycle Club And All-Star Rock’n’Roll Band e ricorda la prima band di Twink, quei Fairies con i quali aveva registrato tre singoli intorno alla metà degli anni 60 e che si erano sciolti nel 1967.

A questo punto va avviata una riflessione, certamente breve in questo ambito, su quella corrente sotterranea che ha attraversato i sixties e la prima metà degli anni Settanta e che dalla scena psichedelica londinese, l’Ufo club e il 14 Hour Technicolor Dream, arriva dritta al punk. Una serie di musicisti e musiche che rimangono lontane dallo star system e dalle evoluzioni prog, restando fedeli a quell’approccio spontaneo verso la musica, anche scanzonato. Un intreccio di grezzo e sporco rock‘n’roll con suggestioni e sonorità psichedeliche, dilatate. E che si contrappone all’esasperato virtuosismo, all’esibizionismo delle rock star, in un’ottica ancora legata agli ambienti della controcultura attiva e militante, all’underground alternativo che sommuove la società. Questi musicisti, i Pink Fairies ma anche gli  Hawkwind (collaboreranno spesso insieme e daranno vita, ad un certo punto, ad un gruppo dal nome PinkWind), i Deviants di Mick Farren, Steve Cook, Larry Wallis e altri meno noti sono l’anello di congiunzione tra la controcultura dei sixties e la rivoluzione punk, e terranno in vita l’approccio libertario e hippy alla musica e agli eventi intorno ad essa, come festival, concerti e produzione di dischi. 



Da questo punto di vista il disco d’esordio dei Pink Fairies, Never Never Land, è significativo. Il brano d’apertura, quella Do It uscita anche come singolo (The Snake/ Do It, gennaio 1971, Polydor), è un graffiante inno alla rivolta e il titolo è ripreso dal libro di Jerry Rubin, l’attivista e politico radicale americano amico di Abbie Hoffman (Do It! Scenarios Of The Revolution, uscito nel 1970 e con l’introduzione di Eldridge Cleaver, esponente delle Pantere Nere). Twink ripubblicherà Do It nel febbraio del 1978, in piena era punk, per la Chiswick Records (Do It ‘77/Psychedelic Punkeroo/Enter The Diamonds  12”Ep a nome Twink And The Fairies) e verrà ripreso anche da Henry Rollins, l’ex frontmen dello storico gruppo punk californiano Black Flag, con la sua band nel 1988. Ma tutto il disco è un perfetto alternarsi di energici brani rock e composizioni dilatate, ancorate alla matrice psichedelica. Basterà citare, oltre a Do It, gli ultimi due brani di Never Never Land: la potente ed estesa Uncle Harry’s Last Freakout, cavallo di battaglia del gruppo dal vivo, un mix di grezzo e ruvido rock e lunghi assoli che espandono la composizione in una sorta di viaggio spaziale, mentre il finale è uno splendido brano proprio di Twink, The Dream Is Just Beginning, delicato ed etereo, che ricorda certe atmosfere del David Crosby di If I Could Only Remember My Name.



Il disco uscirà per la Polydor nel maggio del 1971 con una copertina dall’aspetto fantasy, curiosamente molto vicina all’estetica prog ma anche alla mitologia del pianeta Gong. A questo punto i percorsi e le traiettorie si fanno estremamente confuse, tra abbandoni, ritorni, nuovi innesti, collaborazioni, fughe in Marocco (Twink), discografie frammentarie. Giova ricordare, per quanto riguarda Twink, l’effimero progetto con Syd Barrett e l’ex bassista dei Delivery Jack Monck, il trio Stars, che purtroppo, a parte qualche esibizione dal vivo, non riuscì a registrare nulla per le precarie condizioni di Barrett. Ma anche la partecipazione alle registrazioni di quel bizzarro e folle esperimento di Mick Farren, il suo disco solista Mona-The Carnivorous Circle (registrato nel dicembre 1969 e pubblicato nel marzo del 1970), intreccio tra spoken word e stralunato rock, con interviste agli Hell’s Angels e la preziosa presenza di Steve Took.  Poi, nel 1975 una reunion con i Pink Fairies in un bel live alla Roundhouse (Live At The Roundhouse, edito nel 1982 dalla Big Beat). 



Tra innumerevoli partecipazioni e collaborazioni si arriva al 1977, in piena era punk e qui troviamo il nostro Adler, in qualità di cantante, tra le fila dei Rings, insieme ad Alan Lee Shaw e Rod Latter degli Adverts. Con questo gruppo registra uno dei primi singoli punk, I Wanna Be Free, sempre per la Chiswick Records. Ma il gruppo si scioglie e la carriera di John Charles Adler, da questo punto in poi, si fa confusa e il suo Acid Punk, come lui aveva definito la sua musica, non avrà seguito. La storia prosegue sempre più sotterranea, tra registrazioni clandestine e apparizioni come attore in diverse serie televisive inglesi, finché nel 2013 Fabio Porretti e Marco Conti, i Technicolour Dream, uno dei primi gruppi italiani neo psichedelici degli anni 80, tramite Facebook contattano Twink, nel frattempo convertitosi alla religione islamica e con il nuovo nome Mohammed Abdullah. Con lui, e con l’ex chitarrista dei Blossom Toes Brian Godding, registrano You Reached The Stars (al Gulliver Master di Roma e missaggio agli Abbey Road Studios di Londra) seguito poi da Think Pink II, con la partecipazione di John Povey dei Pretty Things (mixato da John Wood!) e da Sympathy For The Beast, sempre con Povey. Tre dischi che riportano in superficie quelle sonorità psichedeliche fatte di melodie estatiche e atmosfere dilatate nel tempo e nello spazio. Come si può facilmente notare, il nostro non ha certo perso la voglia di suonare e di rimanere nell’underground, fedele alla sua storia e alla sua estetica di hippy senza tempo.   E c’è ancora spazio per il terzo e quarto capitolo del suo capolavoro, un Think Pink III assolutamente barrettiano, elettroacustico e sognante, mentre il Think Pink IV accarezza il cosmo e lo space rock tra Hawkwind e Gong, senza far mancare l’energia delle chitarre distorte alla maniera punk. Ancora tanta musica, ancora quella voce evocativa che si perde nei meandri dello spazio, quel suono sconfinato, etereo, incantato.



Riannodando i fili possiamo notare come questo musicista, ai più sconosciuto, sia stato presente in alcuni album di culto della storia del rock, Tomorrow dell’omonimo gruppo, S.F. Sorrow dei Pretty Things e Never Never Land dei Pink Fairies, e in più abbia scritto pagine memorabili a suo nome, come per l’appunto Think Pink. Ma Twink rappresenta quel mondo che ha avuto il suo momento di gloria nella Londra della seconda metà degli anni 60, dove psichedelia, improvvisazione, pop, rock, blues e sperimentazioni varie ribollivano in un unico calderone, dando vita a musiche affatto straordinarie. Un periodo irripetibile che John Charles Adler, insieme a pochi altri, ha tentato di tenere vivo fino all’avvento del punk, trovando in questa ennesima rivoluzione musicale, seppur parzialmente, alcune caratteristiche che lo hanno sempre contraddistinto, prima fra tutte la voglia di suonare liberi, senza far troppo caso alla tecnica o al virtuosismo.  



 

Discografia selezionata

Tomorrow, Tomorrow, Parlophone Records/Sire, 1968

Pretty Things, S.F. Sorrow, Columbia, 1968

Twink, Think Pink, Sire, 1970

Pink Fairies, Never Never Land, Polydor, 1971

Pink Fairies, Live At The Roundhouse, Big Beat, 1982

Pink Fairies, Kill ’Em And Eat ’Em, Demon Records, 1987

Twink And The Technicolour Dream, You Reached For The Stars, Sunbeam Records, 2013

Twink And The Technicolour Dream, Think Pink II, Sunbeam Records, 2015

Twink, Think Pink III, thinkpink50th.com, 2018

Twink, Moths & Locusts, Think Pink IV, Noiseagonymayhem Records, 2019



pop

 

 

 

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