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sabato 30 marzo 2019

L’atto creativo

Possiamo definire l'improvvisazione musicale come composizione istantanea, o estemporanea. Ma questa composizione è un insieme di atti creativi, cioè di azioni che producono qualcosa che prima non c’era. Mi sembra ovvio che l’insieme di atti  che produciamo mentre improvvisiamo non ha nessuna possibilità di correzione né di controllo delle fonti, oppure di ripensamenti e aggiustamenti vari. Quello che creiamo è immediatamente a disposizione di chi ascolta e noi non possiamo far altro che assistere a ciò che abbiamo prodotto senza poter interferire, vederlo andare via subito sostituito da qualcos'altro che noi stessi creiamo.


Ma cosa succede invece nella composizione, cioè nell'organizzazione del linguaggio musicale per comporre opere musicali? Abbiamo a disposizione tutte quelle opzioni che ci vengono negate dall'improvvisazione. Possiamo riflettere e pensare a quale sia la soluzione migliore, possiamo correggerci o alla fine annullare tutto e ricominciare da capo. Ma possiamo anche sceglierci, con comodità, fonti d’ispirazione che ci aiutino nei momenti di difficoltà. Riposarci con tutta calma, oppure produrre a getto continuo salvo poi fermarsi e ricontrollare il tutto. Ciononostante anche il comporre è un insieme di atti creativi. Produciamo qualcosa che prima non c’era. Ecco, l’insieme di atti creativi che sono all'interno del comporre sono uguali o diversi da quelli dell’improvvisazione? Al di là delle differenti situazioni nelle quali ci troviamo, e preso nota delle differenze sostanziali tra il comporre e l’improvvisare, cosa differenzia l’atto di composizione istantanea dall'atto di composizione? Probabilmente nulla. Io penso che l’atto creativo sia composto in parte da elementi razionali ed in parte da situazioni di irrazionalità, di perdita di coscienza. Anzi, la creazione, affinché sia effettivamente qualcosa che venga dal nulla, o quantomeno qualcosa che prima non c’era, ha la necessità di essere in buona parte trascendente.


Alla fine di un’improvvisazione difficilmente possiamo ricostruire interamente  il nostro percorso. Anche registrandola e riascoltandola non siamo in grado di comprendere da dove e perché abbiamo suonato alcuni passaggi della nostra improvvisazione. E i passaggi che non riusciamo a ricostruire, ad identificarne con certezza la provenienza, ebbene quelli sono probabilmente il frutto di atti creativi irrazionali. Ma la stessa cosa succede con la composizione. Ovviamente, in questo caso, grazie a tutte quelle opzioni che abbiamo elencato sopra, siamo in grado di dare provenienza, fonte e motivazione di molte più frasi rispetto all'improvvisazione. Possiamo definire questi passaggi ricostruibili come atti creativi razionali, dove la nostra coscienza è stata ben presente e vigile, ha lavorato con successo. Ma anche nella composizione abbiamo dei momenti incomprensibili, che non riusciamo a comprendere da dove siano usciti fuori, per quale strano e intricato percorso abbiano raggiunto la nostra mente e quindi poi la mano che li ha scritti. Ecco, sono anch'essi frutto di atti creativi irrazionali. E sono gli stessi dell’improvvisazione. Sono semplicemente di meno. Tutto qui.

pop

domenica 24 marzo 2019

Eric Dolphy, l’inaudito

Si fa un gran parlare ( anzi, riparlare) di Eric Dolphy in questo periodo, per via di una nuova uscita discografica che contiene alcune sue registrazioni mai pubblicate prima e cose invece già note, con in aggiunta uno splendido ed esauriente booklet.
Ma non è di questo cd che voglio parlare , non ora perlomeno, ma di un altro disco, meno conosciuto e che ho avuto la fortuna solo da poco di conoscere ed apprezzare.
Eric Dolphy ha inciso ben tre album con Oliver Nelson, tutti e tre a nome di quest’ultimo. Il più famoso è The Blues And The Abstract Truth, registrato per la Impulse il 23 febbraio del 1961. Quasi un anno prima la coppia registra per la Prestige, il 27 maggio 1960, Screamin’ The Blues. Per il disco della Impulse la ritmica è formata da Roy Haynes alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso e Bill Evans al pianoforte. In aggiunta ai sassofoni di Dolphy e Nelson ( qui Dolphy suona anche il flauto) c’è la tromba di Freddie Hubbard. L’altro disco vede alla batteria sempre Roy Haynes ma con George Duvivier al contrabbasso, Richard Wyands al pianoforte e Richard Williams alla tromba.

Il terzo disco è Straight Ahead, registrato per la Prestige qualche giorno dopo The Blues And The Abstract Truth, il primo marzo 1961. Stessa formazione del primo disco ma senza il trombettista Richard Williams. Ed è proprio su quest’ ultimo che mi voglio soffermare.
Non voglio fare un’analisi particolareggiata, né lanciarmi in accurate disamine tecnico musicali che non è il caso di postare qui su questo blog. Semplicemente, commentare e raccontare con estrema leggerezza questo terzo disco, del quale non avevo conoscenza.



È un disco sorprendente, per molti versi paragonabile al capolavoro della Impulse. Straight Ahead colpisce immediatamente l’ascoltatore per una freschezza unica e per un’altissima qualità compositiva. I sei brani sono uno più bello dell’altro, la solita e mai banale combinazione di blues e funky, sempre elegantemente arrangiati e strutturati con originalità da Oliver Nelson, tra sapienti introduzioni, cambi di tempo e code inaspettate. Ma quello che emerge da questo album è l’eccezionale capacità improvvisativa di Dolphy, qui al sax, al clarinetto basso e al flauto. Il contrasto, la grande differenza stilistica tra i due fiati produce una continua sorpresa, un meravigliarsi inatteso che tiene l’ascoltatore inchiodato all’ascolto. L’irruenza di Dolphy, la sua libertà espressiva rendono l’eleganza, in alcuni casi un po’ di maniera, di Nelson per certi versi sorprendente e  inaspettata. 
Vorrei un po’ soffermarmi su Dolphy, sul suo approccio improvvisativo. A volte sembra un sismografo impazzito, che produce diagrammi quasi sempre fuori dai limiti, ma quei limiti vengono allo stesso tempo travalicati e rispettati, come in una continua sfida. Eric sembra non avere alcun problema nel liberarsi dalla griglia armonica dei brani pur, nei fatti, seguendola. L’inaudito suona conforme, quasi rassicurante, e trascina la mente in un vorticoso viaggio ai confini del già noto. Molto probabilmente Dolphy è l'unico musicista di area free che riesce a collocare il suo approccio improvvisativo, così originale e libero, anche all'interno di strutture e composizioni per così dire regolari, consuete.
 I suoi strumenti, sax alto, clarinetto basso e flauto, vengono sottoposti a continue pressioni, quasi dilatati per poter contenere tutta l'energia e la quantità enorme di idee e frasi, suoni e rumori che Eric produce come in un flusso continuo. Il suo stile si modifica a secondo dello strumento che suona, affermandosi come vero multi strumentista capace di approcciare in modo originale i diversi strumenti musicali.

"Io penso al mio modo di suonare come a qualcosa di tonale. Suono note che non sono normalmente considerate presenti nell'accordo dato, ma le sento giuste. Non penso di abbandonare la struttura armonica: ogni nota che suono ha qualche rapporto con gli accordi del brano". 
Eric Dolphy

pop




martedì 19 marzo 2019

Ancora su improvvisazione e socialismo

Inventare l'ignoto è, ovviamente, una perifrasi. La costruzione di una società futura passa per la realizzazione di esperimenti e tentativi, organizzazioni ed esperienze precedentemente attuati in condizioni di difficoltà e colmi di compromessi con lo stato di cose esistenti.
La rivoluzione russa si costruisce sull'esperienza dei soviet che appaiono già nella rivoluzione del 1905, così come la Comune di Parigi farà tesoro dell'esperienza dei comitati di vigilanza e dei club rivoluzionari. Quindi, effettivamente, non tutto è ignoto nella costruzione di un'utopia, nulla si crea dal nulla. Spesso l'ignoto è un' assemblaggio di esperienze passate, di avvenimenti e riflessioni condotte in situazioni di difficoltà, con approssimazione e la giusta dose di follia.
Possiamo teorizzare che le nostre improvvisazioni siano come tante piccoli rivoluzioni che attuiamo di volta in volta durante i nostri concerti. E questi piccoli mondi ignoti provengono da tentativi di improvvisazioni condotte in solitudine a casa, organizzate o in modo spontaneo. Nascono dai nostri studi e dalle nostre vite e prendono il sopravvento quasi improvvisamente, improvvisando per l'appunto. Volendo potremmo anche pensare alle nostre improvvisazioni come a Zone Temporaneamente Autonome, citando Hakim Bey. Ma preferisco pensare questi mondi, seppur temporanei, stabili e con effetti duraturi sullo stato di cose presenti. Come se le nostre musiche non fuggissero via appena suonate, ma stabilizzassero un diverso modo di produzione culturale prendendo possesso dei luoghi.

Tuttavia, come preparare l'assalto al cielo? Come organizzare la lunga marcia?
Potremmo non essere nel giusto nel prepararci meticolosamente all'improvvisazione. O dovremmo affidarci, forse, allo spontaneismo? Io penso sia essenziale avere un programma. Anzi, per dirla con Trotskij, un programma di transizione che dallo stato semifeudale delle nostre note e dei nostri suoni ci porti alla costruzione di un mondo improvvisato socialista.
Per oggi la finisco qui. Mi sembra di aver scherzato abbastanza. O forse no.
In ogni caso......Improvvisatori di tutto il mondo unitevi!!!
pop


lunedì 18 marzo 2019

Inventare l’ignoto

Prendo a prestito dal libro uscito in questi giorni per le edizioni Alegre, scritti di Marx ed Engels sulla Comune di Parigi, questo bel titolo per il primo post!
Da una parte è un omaggio a due grandi pensatori, ad un’ottima casa editrice e ad un evento che seppur di breve durata seppe influenzare, ispirare  e scaldare i cuori di milioni di persone. Dall’altra mi sembra invece sia una perfetta definizione di ciò che può essere l’improvvisazione musicale. E non solo, direi.
Inventare l’ignoto, delineare nuovi paesaggi ed orizzonti, costruire inedite melodie, stupire l’altro, provare l’inaudito. 
Come ci muoviamo quando improvvisiamo, che tipo di scelte operiamo quando proviamo ad esplorare sentieri sconosciuti, insomma, che cosa succede nelle nostre menti, e anche nei nostri corpi, quando decidiamo di improvvisare. 
È quello che si è provato a delineare ed analizzare, sia da un punto di vista musicale che da quello più propriamente scientifico, nell’ambito di una conferenza che si è svolta venerdì 15 marzo presso le terme di Tivoli. 

 

In post successivi proverò a raccontare le impressioni e le profonde riflessioni che gli interventi hanno suscitato. 
Ora mi interessa solo collegare, in modo quasi ironico ma non del tutto fuori luogo, l’ignoto delle nostre improvvisazioni, le battaglie per un’orizzontalità della musica e una sorta di liberazione da fastidiose dittature virtuosistiche e tecniciste, con le lotte per un mondo migliore, per una società nuova e ignota, per l’appunto, una società ed un mondo senza sfruttamenti né ingiustizie. 
Addirittura?  Ma sì, lasciamoci un po’ cullare dalle utopie, dai sogni e dagli orizzonti. È questo che manca nel mondo d’oggi. Una sana improvvisazione libera in un mondo socialista, cos' altro?
Vi garantisco che proverò ad essere più pop nei post futuri.
Per rimanere in ambito utopistico, chiudo consigliandovi la lettura di un bellissimo libro di tanti anni fa. An ambiguous utopia di Ursula K. Le Guin, I reietti dell’altro pianeta in italiano.
Un abbraccio!
pop 

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

  Kevin Ayers And The Whole World SHOOTING AT THE MOON Harvest 1970 Il secondo album solista di Kevin Ayers vede al suo fianco, al co...