Il grande patrimonio folk anglo-scoto-irlandese è stato una delle caratteristiche forse meno evidenti dell’esplosione del rock inglese, spesso oscurato dal blues, dallo skiffle e dal rock’n’roll, musiche più chiaramente riconoscibili nella costruzione della British Invasion. Eppure, quelle centinaia di ballate che si sono trasmesse oralmente per tutta la Gran Bretagna e l’Irlanda, sconfinando anche negli Stati Uniti, sono state il substrato di tanta musica inglese, primi fra tutti i Beatles. È un patrimonio che è stato sottovalutato ma che con tutta evidenza rappresenta quell’elemento particolare, quell’ingrediente speciale che ha permesso la nascita e lo sviluppo del rock d’Albione. Tale è stata la forza di questo retaggio culturale da aver dato vita anche ad un vero e proprio genere musicale, il cosiddetto folk rock, che ha prodotto dei veri capolavori ed una serie di gruppi eccezionali. La triade Fairport Convention/Pentangle/Steeleye Span, con la Incredible String Band a fare da stralunato e sperimentale jolly, già di per se mostra la ricchezza e lo splendore di una musica ancorata si alla tradizione ma in grado di rinnovarsi e sperimentare nuove sonorità e nuovi approcci musicali. Il rock, il jazz e il blues hanno contribuito a dare una nuova luce alle ballate e alle canzoni tradizionali, dimostrando che un materiale, pur antico, può e deve avere sempre una nuova vita.
Tra i numerosi gruppi e musicisti
che hanno attraversato la gloriosa stagione del folk rock, tra il 1968 e il
1973, i Trees rivestono un ruolo
particolare, lontani dal successo eppure autori di una miscela originale e
significativa, con quel loro folk psichedelico, tra la California e le campagne
inglesi. Bias Boshell, principale
autore, bassista e tastierista, Barry
Clarke, chitarra solista, David
Costa, chitarra acustica e ritmica, Unwin
Brown, batterista, e Celia Humphris,
cantante, formano nella primavera del 1969 uno dei tanti gruppi che andrà ad
arricchire il folto immaginario inglese, la nuova Arcadia, un paesaggio
preindustriale, popolato da esseri fantastici e ricco di melodie e suoni
naturali, con le foreste incontaminate e i bardi che narrano leggende d’altri
tempi. Da questo punto di vista i Trees
non sfuggono all’estetica folky del periodo, e gran parte della loro musica
sarà tratta dal patrimonio folkloristico opportunamente riarrangiato, sulla
falsa riga di ciò che facevano Fairport,
Pentangle e tanti altri. Ma in loro
c’è un approccio in parte diverso dagli altri gruppi folk rock. Potremmo quasi
dire che l’esperimento Trees coniuga
gli ultimi lasciti della rivoluzione pop di entrambe le sponde dell’oceano con
il susseguente ripiegamento in ambito “fantasy”, di un immaginario lontano dalla
contemporaneità e situato in un passato fiabesco. Da questo punto di vista non
avremmo molta difficoltà a leggere come una tendenza comune e omogenea
l’Arcadia folk con la Terra del Grigio e Rosa o le copertine di Roger Dean così come le atmosfere barocche
dei Gentle Giant o la pastoralità di certi Genesis.
Tuttavia, nei Trees è possibile rintracciare
consistenti elementi che contaminano e cambiano di segno le atmosfere e le
musiche del repertorio tradizionale da loro arrangiato. Elementi potremmo dire
progressivi, che di fatto rimandano spesso alla musica psichedelica, alle
lunghe improvvisazioni e ad atmosfere dilatate.
L’esordio è su CBS, The Garden Of Jane Delawney, registrato
all’inizio del 1970 e pubblicato il 24 aprile dello stesso anno. La produzione è di David Howells e di Terry Cox
(Caravan, Yes, Family e tanti
altri) mentre la copertina è opera dello stesso David Costa, uno stupendo disegno in stile Magritte. Metà dei brani sono tradizionali, ovviamente
riarrangiati, mentre il resto sono a firma di Boshell e il primo brano del disco è opera di tutto il gruppo. L’album
è caratterizzato da un alternarsi tra acustico ed elettrico, un aspetto comune
a tante altre opere di folk rock. Spesso l’elemento elettrico, sporco,
aggressivo, è riservato ad intermezzi che spezzano le composizioni e
introducono, per l’appunto, altri territori, dove la chitarra elettrica è
protagonista. Alcune volte questa operazione sembra un po’ meccanica, frutto di
giustapposizioni, nondimeno il risultato è pregevole e affascinante. Il brano
di apertura mostra già gli inequivocabili segni della musica dei Trees, a cavallo tra folk e
psichedelia, una ballata attraversata in lungo e largo da una chitarra
elettrica dal netto sapore West Coast, a tratti simile al Kaukonen lisergico, anche nel suono oltre che stilisticamente.
L’eterea e delicata voce di Humphris,
tipicamente folk, è contrappuntata dal solismo di Barry Clarke e rende questa Nothing
Special un giusto mix tra energia rock e sapori pastorali. The Great Silkie e Lady Margaret sono esemplificativi del lavoro di arrangiamento che
i Trees compiono sul materiale tradizionale.
La prima è tratta dal repertorio delle isole Orcadi in Scozia e narra le
vicende di un uomo che si trasforma in un animale acquatico soprannaturale. Qui
la ballata dolce e appena segnata da leggeri tocchi elettrici si trasforma in
una cavalcata psichedelica grazie ad un intermezzo dove le due chitarre soliste
intrecciate ricordano atmosfere decisamente acid rock. La seconda, ballata apparsa in Inghilterra
intorno al diciassettesimo secolo e chiamata anche Lady Margaret And Sweet William, ha un inizio alla Fairport, tra chitarre acustiche ed
elettriche pulite per poi, anch’essa, irrobustirsi e distorcersi, con una
ritmica vivace ed incalzante. She Moved Thro’ The Fair, antica ballata
irlandese del Donegal, registrata anche dai Fairport Convention nel loro secondo album, mostra un Bushell virtuosistico, con il suo
strumento a disegnare continue linee melodiche, quasi una sorta di Jerry Garcia del basso, e poi
un’improvvisazione collettiva coinvolgente ed affascinante, per uno dei
migliori brani dell’album. E dai Fairport
si passa ai Pentangle, perché Glasgerion altri non è che la Jack Orion del gruppo di Jansch e Renbourn. Una delle 305 tradizionali ballad raccolte da Francis James Child nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Glasgerion venne modificata in Jack Orion (con il protagonista della
storia che da suonatore d’arpa diventa violinista!) dal folk singer A.L. Lloyd negli anni 60 e quindi poi
ulteriormente trasformata dai Pentangle
nel loro stupendo Cruel Sister. Qui
la versione dei Trees è leggermente
più veloce, con cambi di tempo e un’elettrificazione moderata, un andamento
tradizionale e una voce non sempre all’altezza, pur se ricca di fascino. I brani originali di Bushell spaziano dal country rock di Road, con la voce del bassista ad alternarsi con quella della Humphris, alle atmosfere tipicamente
folk di Epitaph, contraddistinto da
una splendida chitarra arpeggiata, oppure alle suggestioni West Coast di Snail’s Lament, dove il canto della
coppia Bushell Humpris ricorda gli
impasti vocali dei primi Jefferson
Airplane. Menzione speciale la merita la title track, scritta sempre da Bushell, un piccolo gioiello acustico,
impreziosito dal dulcimer e con un atmosfera cupa, triste, il giardino di Miss
Delawney colmo di sogni gotici e selvagge fantasie.
Il primo album dei Trees non ottiene il successo sperato, pur essendo inequivocabilmente un ottimo disco, ma il gruppo va avanti, suona regolarmente, anche se soprattutto nei circuiti universitari, ed ha il sostegno di importanti dj come John Peel e Pete Drummond (che più tardi sposerà proprio la cantante Celia Humphris). E quindi a fine anno arriva un nuovo album, On The Shore, registrato nell’ottobre del 1970 e pubblicato sempre dalla CBS, con una stupenda copertina frutto del lavoro di Storm Thorgesen, dello studio Hipgnosis.
Questo secondo, e ahimè ultimo lavoro ufficiale dei Trees, è sicuramente più organico, il materiale è ben amalgamato e fluido, la voce della Humphris più intraprendente e i suoni, soprattutto della chitarra elettrica, maggiormente definiti e originali. Ma in generale il gruppo appare più maturo e sicuro delle proprie scelte stilistiche così da dare a On The Shore la peculiarità di piccolo capolavoro discografico, purtroppo misconosciuto. Prodotto sempre da Tony Cox (che appare anche al basso in Sally Free And Easy), il disco si apre con Soldiers Three, una ballata composta da Thomas Ravenscroft nel sedicesimo secolo e ideale introduzione al nuovo lp, con le voci di Bushell e Humphris perfettamente combinate e un intermezzo acustico a spezzare l’andamento energico del brano. Murdoch e While The Iron Is Hot sono gli originali di Bushell, che mostra ancora una volta la sua grande capacità di scrivere sia vibranti e serrati scenari come nel primo caso, oppure struggenti melodie, splendidamente arricchite dagli archi, con al loro interno intermezzi classicamente rock, come nel secondo. Little Sadie, un traditional americano, è un simpatico country rock con la voce di Humphris perfettamente calata nel mondo di Nashville, mentre Geordie, una delle tante antiche ballate raccolte da Francis James Child, è delicata, rilassante, punteggiata da una chitarra elettrica discreta e dal solismo appena accennato. Ma il cuore pulsante di On The Shore è rappresentato dal tradizionale Streets Of Derry, con le chitarre elettriche che dialogano nel lungo finale e il basso di Bushell a sostegno delle improvvisazioni, una lunga suite psichedelica di grande fascino. E da Sally Free And Easy, del folk singer Cyril Tawney, registrata dal vivo in studio al termine di una lunga giornata e provata solo mezz’ora prima, introdotta da un suggestivo pianoforte che poi lascia spazio alle chitarre acustiche ed alla voce limpida e intensa della Humphris. Sono 10 minuti di un incredibile crescendo con tutti gli strumenti che si rincorrono tra loro a delineare un paesaggio sonoro dilatato, vivido, di una luce sognante. In questi due brani i Trees mostrano la loro straordinaria abilità nell’amalgamare linguaggi differenti e creare un folk psichedelico di grande spessore e qualità. Resta da dire ancora dell’originale Fool, scritto da Bushell e Costa, dalle movenze ipnotiche e decisamente rock, l’acquerello acustico dal sapore medievale Adam’s Toon, scritto dal compositore e poeta francese Adam de la Halle vissuto nel tredicesimo secolo, e la tradizionale Polly On The Shore (conosciuta anche come The Valiant Sailor, popolare sea song apparsa per la prima volta intorno al 1744 e dagli accenti antimilitaristi) a chiudere, con un’altra suite a forti tinte psichedeliche, un disco semplicemente irresistibile e coinvolgente.
Nel 1971 il gruppo si scioglie,
per poi riformarsi brevemente l’anno successivo con Barry Lions al posto di Bias
Boshell e Alun Eden alla
batteria in luogo di Unwin Brown,
con l’aggiunta al violino di Chuck
Fleming. Nulla di ufficiale registrato, a parte un bootleg edito in Italia
dalla Hablabel nel 1989 con materiale dal vivo e una copertina certamente non
all’altezza dei due precedenti album. Purtroppo, anche la musica non è un granché,
lontana dal fascino di On The Shore e
The Garden Of Jane Delawney, un
onesto folk con velate tinte rockeggianti, per di più di scadente qualità
sonora.
Resta un mistero lo scioglimento dopo due dischi di assoluto valore, anche se probabilmente le vendite insufficienti e le recensioni non tutte positive hanno contribuito in maniera consistente alla fine del gruppo, lasciando ad un ultimo vano tentativo con una seconda line up la ricerca di quel successo che altre band dello stesso genere musicale avevano avuto in quel periodo. Successo che arrivò in parte, e postumo purtroppo, nel 2006 grazie al duo soul americano Gnarls Barkley che campionò, per la title track del loro disco St. Elsewhere, la versione dei Trees del traditional Geordie, vendendo milioni di copie.
Lo scorso anno, sorprendentemente, è arrivato un elegante cofanetto di quattro cd, corredato da booklet con foto e storia/storie del gruppo, che comprende i due album, un terzo cd di outtakes e remix e il quarto con delle session live alla BBC, più brani dal vivo suonati al Cafè Oto di Londra nel 2018 da una fantomatica On The Shore Band con i soli David Costa e Bias Boshell della formazione originaria. Un piccolo regalo che non fa che aumentare i rimpianti per una band che avrebbe avuto ancora molto da dire.
A noi rimangono musiche
eccezionali che acquistano sempre più fascino nel corso degli anni, frutto di
stagioni forse irripetibili e che fanno dei Trees certamente uno dei migliori gruppi non solo di folk rock ma
della musica popular.
pop
grazie, non li conoscevo..ora li andrò ad ascoltare..😉
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