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lunedì 21 marzo 2022

L'Europa tra jazz e improvvisazione libera






Anche questo scritto fa parte della serie di schede informative del laboratorio sulla Storia del Jazz, Percorsi Jazz. 


L’Europa tra jazz e improvvisazione libera

 

“Il jazz afferma di essere una forma d’arte. Tutta l’arte è espressione del tempo in cui ha origine, un riflesso dell’ambiente in cui viviamo. Ecco perché un musicista jazz europeo non dovrebbe mai suonare come un musicista nero a New York o Chicago”

Albert Mangelsdorff

 

Se l’arrivo del jazz in Europa data già dai primi anni Venti, in corrispondenza più o meno della nascita di questa musica sul continente nordamericano, è altresì vero che fino al secondo dopoguerra questa musica vivrà in ambiti ristretti e non avrà certo ampia diffusione all’interno delle società europee. In Francia, in Gran Bretagna e nella Germania di Weimar le musiche afroamericane avranno anche i loro momenti di successo, ma ovviamente stiamo parlando di settori sociali esclusivi, avanguardie, circoli artistici, intellettuali. Va comunque sottolineato che il jazz, in molti casi, ricevette maggiori attenzioni ed ebbe un trattamento migliore, da parte degli ambienti culturali europei, di quanto ne avesse avuto negli Stati Uniti. Il primo libro sulla musica jazz è di Hugues Panassiè (“Le Jazz Hot”), un francese amante della nuova musica afroamericana, e molti jazzisti, quando attraversarono l’oceano per esibirsi in Europa, troveranno un atteggiamento di assoluto rispetto, che invoglierà molti di loro a tornarci o, in alcuni casi, a stabilirsi definitivamente.

Ostacolo alla piena diffusione del jazz in Europa furono l’instaurarsi delle dittature fasciste e naziste, in Italia e Germania, e delle ripercussioni che tali regimi provocarono sul resto dei paesi del continente, così come il consolidarsi del regime staliniano soffocò, anche qui, le sperimentazioni artistiche e il favore che il jazz, nei primi anni dopo la rivoluzione, aveva riscosso in Russia. A parte qualche influenza sulle musiche da ballo, del jazz non rimarrà molto fino alla Seconda Guerra Mondiale, con l’arrivo delle truppe americane e dei loro Vdisc, dischi espressamente registrati dalle big band per l’esercito statunitense. Se questo vale per Italia e Germania, per quanto riguarda Francia e Gran Bretagna, la penetrazione del jazz sarà più costante e duratura, nonostante appunto crisi economica e venti di guerra. Django Reinhardt, chitarrista di origine rom, e il violinista Stephan Grappelli, saranno popolari anche nella Francia del maresciallo Petain e persino tra alcuni gerarchi nazisti, mentre il fascino del jazz tradizionale, quello di New Orleans, manterrà solide radici in tutto il Regno Unito, dando vita ad un grande circuito di jazz tradizionale che si svilupperà ancor di più dopo la Guerra.

Il peso degli USA, non solo economico ma anche culturale, condizionerà l’Europa occidentale dopo il 1945, dando vita al modello politico e sociale delle democrazie occidentali, in netta contrapposizione con il blocco sovietico, e questo comporterà, fino al 1989, una netta divisione del continente che solo marginalmente verrà scalfita dai movimenti artistici. Il jazz sarà un elemento fondamentale della penetrazione culturale americana e diverrà velocemente una musica di riferimento non solo per i musicisti professionisti e dilettanti, ma anche per laghi settori della popolazione europea. Il ballo fece da traino ai ritmi delle big band e, anche se in patria il movimento era in netta crisi travolto dall’esplosione del be bop, lo swing sarà sinonimo di jazz nell’Europa degli anni Cinquanta. Ma presto le nuove tendenze presero piede anche nel vecchio continente, grazie ancora una volta ai numerosi concerti di musicisti americani in Scandinavia, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Germania e la stessa Italia. Questo comportò un consistente sviluppo del jazz europeo, con musicisti di assoluto valore, valga l’esempio degli svedesi Lars Gullin e Arne Dohnerus, oppure degli inglesi Ronnie Scott e Stan Tracey o del contrabbassista danese Niels-Henning Orsted Pedersen, che pur posizionandosi su un terreno di emulazione degli stilemi afroamericani, tra bop e cool, grazie alle loro capacità avranno la concreta possibilità di suonare accanto ai musicisti americani. Tuttavia, nonostante difficoltà e ritardi, tra revival del jazz tradizionale, emulazioni e musica di intrattenimento, l’esplosione del free jazz negli Stati Uniti non tardò molto ad avere ripercussioni anche in Europa. Il nuovo linguaggio permise a tutta una schiera di giovani jazzisti europei di poter approcciare finalmente la materia in modo originale e non seguendo semplicemente le tracce dei musicisti americani. Quell’approccio libero, creativo, fu la scintilla per far esplodere definitivamente la scena europea, questa volta su posizioni innovative, dando vita ad un movimento che travalicò le frontiere pur mantenendo alcune specificità nazionali. Un primo elemento di distinzione fu, in molti casi, la contaminazione con la musica colta, con le pratiche aleatorie e improvvisative dei compositori americani quali Cage, Feldman, Wolff, soprattutto in Gran Bretagna ma anche in Italia. Giorgio Gaslini e la sua musica totale, o il Gruppo Romano Free Jazz, sono mirabili esempi di creazione di un nuovo linguaggio che al suo interno contiene spunti, suggestioni ed elementi di ambedue i mondi sonori, quello accademico e quello jazz. Ma anche le esperienze inglesi del Joseph Holbrooke Trio, oppure dello Spontaneous Music Ensemble intrattengono forti contatti e pratiche con l’aleatorietà e l’improvvisazione colta. Lo stesso si può dire per la scena tedesca, mentre per quanto riguarda i Paesi Bassi, qui c’è un uso più irriverente e giocoso degli stilemi jazz intrecciati all’improvvisazione libera, con sviluppi alquanto originali. Altre caratteristiche sono le pratiche collettive, la formazione di orchestre più o meno stabili e transnazionali come la Globe Unity Orchestra di Schlippenbach, l’Instant Composer Pool di Misha Mengelberg, gli ensemble di Mike Westbrook e la London Jazz Composers’Orchestra, il Willem Breuker Kollektif. Ma anche Centipede, doppio album registrato da ben cinquanta musicisti inglesi, tra jazz, rock e improvvisazione libera, le etichette indipendenti come la Incus di Derek Bailey ed Evan Parker, oppure la tedesca FMP, i concerti autogestiti e i circuiti alternativi. E certo non potevano mancare i contatti con il nuovo rock, soprattutto in Inghilterra, così come forte fu l’influenza dei musicisti sudafricani che aprirono il jazz inglese alla ritmicità, agli intrecci tematici. Altrettanto importante fu il rapporto con le musiche tradizionali, sia in Italia (ad esempio Mario Schiano e il suo bel disco “Sud”), che in Scandinavia, dove peraltro operò con successo anche George Russell, influenzando profondamente la scena di quei luoghi. Ma va detto che molti musicisti americani si stabilirono, in quegli anni, spesso in Europa, dando nuova linfa ma anche ricevendone altrettanta, alla scena europea. Steve Lacy, Don Cherry, l’Art Ensemble Of Chicago, (Albert Ayler ed Eric Dolphy ebbero importanti collaborazioni con musicisti europei) furono tra i molti che seguirono l’esempio del vecchio Sidney Bechet, stabilitosi definitivamente in Francia nel Secondo dopoguerra.

In conclusione, il jazz europeo si inserì all’interno di quel vasto movimento, politico, sociale e culturale, che negli anni Sessanta rivoluzionò le società del vecchio continente e ne fu una delle espressioni artistiche di maggior rilievo. L’esperienza del free jazz ha permesso la nascita di un linguaggio comune europeo improntato alle pratiche di improvvisazione libera, quel territorio che prende spunti e insegnamenti sia dal mondo delle musiche afroamericane che da quello della musica contemporanea. E quest’approccio ha consentito l’emancipazione del jazz europeo dall’estetica americana, pur non negandone certamente le influenze, ma riuscendo a declinare la propria creatività con un linguaggio personale, ricco e composito, variegato ma allo stesso tempo con un substrato comune, valicando confini e cortine di ferro, ed arrivando effettivamente ad unificare, sotto la bandiera dell’arte libera, l’Europa.

 

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