Questa è la prima parte del lungo articolo che la rivista Prog Italia Magazine ha pubblicato nel numero 26, corredato di bellissime foto e di una pagina, non presente su questo blog, che annunciava l'uscita dello splendido cofanetto Love From Planet Gong: The Virgin Years 1973-1975, curato da Steve Hillage e comprendente ben 13 cd e un libretto di 63 pagine. Potete immaginare che solo questo cofanetto esiga un ampio e articolato commento a parte, che prima o poi farò. Nel frattempo qui sono raccontate le vicende e le musiche dei Gong nel loro momento migliore: gli anni della creazione della splendida trilogia, Radio Gnome Invisible, e di un immaginario musicale fantastico, affascinante e coinvolgente.
Radio Gnome Invisible
Nell’agosto del 1967 i Soft Machine, reduci da una serie di
concerti in Costa Azzurra, decidono di posticipare un loro già programmato
concerto ad Amsterdam e continuare per alcuni giorni la loro permanenza in
Francia. Il 24 dello stesso mese si recano al porto di Dover per fare
finalmente rientro in Gran Bretagna e lì la polizia doganale, dopo controlli
approfonditi, scopre che Daevid Allen
ha il permesso per risiedere e lavorare
in Inghilterra scaduto. Il resto del gruppo parte mentre Allen non può far altro che rimanere in Francia e dirigersi verso
Parigi, dove verrà poi raggiunto da Gilli
Smyth.
Questo banale imprevisto, con un
pesante intervento del fato che a Daevid
sicuramente non sarà passato inosservato, in realtà ha determinato in modo
significativo le vicende musicali di due fra i più importanti gruppi della
storia del rock: Soft Machine e Gong. E’ proprio grazie all’impossibilità
di tornare in Gran Bretagna che Daevid
Allen si stabilisce a Parigi e, tra le innumerevoli attività che intraprende
e i tanti avvenimenti, non ultimo il ’68 francese, che lo vedono protagonista,
con insolita preveggenza mette in piedi quello che all’inizio altro non era che
un collettivo dal nome Gong.
Mentre i Soft Machine continuano in trio e vanno in tour negli USA di spalla
a Jimi Hendrix, Daevid Allen, insieme a Gilli
Smyth, sembra barcollare tra progetti più o meno stabili, concerti
importanti come quello di Stoccolma con Don
Cherry, rimpatriate con Kevin Ayers
e i Softs, collaborazioni saltuarie
e serate soliste nei bar della Rive Gauche. In realtà la sigla Gong comincia subito a circolare negli
ambienti parigini, all’inizio solo come duo con Gilli, poi radunando intorno a sé altri musicisti, “about eight of
the maddest musicians imaginable” come dirà poi Daevid e incontrando immediatamente i favori del pubblico e della
critica. Accanto alla sigla Gong Allen organizza ( non propriamente la
parola più adatta per un tipo come l’australiano) un altro ensemble, Bananamoon, che registrerà del
materiale poi pubblicato solo nel 1993.
Intorno al 1969 il progetto Gong inizia a stabilizzarsi con
l’arrivo del sassofonista e flautista Didier
Malherbe, il chitarrista e bassista Christian
Tritsch e il batterista Rachid
Houari, questi ultimi due entrambi
insoddisfatti delle loro carriere al fianco di star francesi come Johnny Hallyday e Claude Francois. Questo nucleo, escluso Tritsch, registra il primo
disco dei Gong, Magick Brother, anche se effettivamente il lavoro è intestato a Daevid Allen e Gilli Smyth. Come dirà Didier
Malherbe, “era un album di Daevid,
delle sue canzoni, non proprio un album dei Gong”.
Insieme ad Allen, Smyth, Malherbe e Houari ci sono una serie di ospiti come
Barre Philips al contrabbasso e Earl Freeman sempre al contrabbasso e
al piano, entrambi esponenti dell’area free jazz, musicisti abituati
all’improvvisazione sia libera che più propriamente jazzistica e con collaborazioni
di tutto rilievo come Archie Shepp
per quanto riguarda Freeman. Il disco esce per la BYG di Jean Karakos, etichetta che pubblicherà anche i lavori, tra gli
altri, dell’ Art Ensemble Of Chicago, Sun
Ra, Steve Lacy.
Il lavoro è una sorta di pastiche
psichedelico, dalle parti di Syd Barrett
e Kevin Ayers, folk e pop dalla strumentazione scarna,
filastrocche, scherzi musicali e prodromi futuri del pianeta Gong, soprattutto verso la fine del
disco.
Decisamente più significativo è
il successivo Camembert Electrique,
vero e proprio primo lavoro del gruppo Gong. La formazione, rispetto a Magick Brother, vede al posto di Richard Houari Pip Pyle, batterista che sarà fondamentale per la scena di
Canterbury (Hatfield And The North e
National Health), presentato ad Allen da Robert Wyatt, Christian
Tritsch al basso e il nucleo fondamentale dei Gong, Daevid Allen alla
voce e alla sua glissando guitar, Gilli
Smyth al soffio spaziale e Didier
Malherbe ai fiati.
Pubblicato all’inizio solo in
Francia sempre dalla BYG nel 1971, Camembert
Electrique è disco compiuto, ben suonato, con dei brani che faranno parte
del classico repertorio live del gruppo e intriso di glissandi, soffi,
stranezze zappiane e un’incredibile energia. L’estetica gonghiana inizia a
prendere forma, con passaggi psichedelici uniti a loop e bizzarrie cosmiche.
Anche per quanto riguarda i testi iniziano ad emergere gli elementi portanti
che saranno poi definitivamente sviluppati nella trilogia.
Ultima annotazione:
il 1971 vede anche la pubblicazione del disco solista di Daevid Allen, Banana Moon,
con Robert Wyatt alla batteria, e altri
strani progetti che vedono coinvolti i Gong,
dalla colonna sonora per un documentario su due campioni di motociclismo,
Giacomo Agostini e il suo rivale francese Jack Findlay, alla collaborazione con
il regista cinematografico Martial
Raysse per il suo film Le Grand
Depart.
Ed arriviamo finalmente alla
nostra trilogia.
Dopo la pubblicazione di Camembert Electrique i Gong intraprendono una serie di
concerti, coadiuvati in questo dal loro
manager Bob Bènamou e dalla super
visione di Giorgio Gomelsky, figura
centrale dell’underground inglese.
Ma Allen
non è certo tipo da normale carriera musicale e quindi, tra continui
cambiamenti di formazione e difficoltà gestionali, a metà agosto 1972 decide di
interrompere brevemente l’avventura Gong
per concentrarsi sulla vita familiare e sulla poesia. Bènamou cerca di persuadere Allen
nel continuare, anche con nuovi musicisti e con un progetto suggeritogli da Gomelsky, una trilogia che lo stesso Gomelsky già aveva proposto al gruppo
rock progressive francese Magma. Allen è incuriosito e ben disposto,
decide quindi di iniziare a lavorare su questa proposta durante il suo
soggiorno estivo a Deja (Isole Baleari), usuale ritrovo hippie frequentato
anche da Wyatt, Ayers e altri musicisti.
A settembre Daevid si reca in Inghilterra a visitare il nuovo studio di
registrazione della neonata casa discografica Virgin di Richard Branson,
il Manor , allestito in un maniero a nord di Oxford.
Qui iniziano anche le
audizioni per cercare una nuova sezione ritmica per il gruppo, che aveva visto
avvicendarsi alla batteria Pip Pyle,
Laurie Allan, Mac
Poole (ex Warhorse) e Charles Hayward (ex Quiet Sun). La scelta cade su Rob Tait, ex batterista di Pete Brown, con la sua compagna Diane
Stewart-Bond alla voce e alle percussioni.
Per il ruolo di bassista Wyatt, presente alle audizioni,
suggerisce l’ex Matching Mole Bill MacCormick, il quale dopo pochi
giorni in Francia decide di lasciare. A quel punto Gomelski, in qualità di produttore del nuovo lavoro dei Gong, propone ad Allen Francis Moze,
bassista del gruppo progressive francese Magma,
con il quale avevano in passato diviso il palco.
Per Gomelski il problema principale del gruppo era proprio la sezione
ritmica, spesso instabile e non in grado di far decollare in modo significativo
le composizioni di Allen. La
sicurezza e la precisione di Moze
avrebbero dato una base stabile e compatta al nuovo lavoro dei Gong.
Allen da parte sua decide di includere nel progetto Tim Blake, in passato roadie e collaboratore
del gruppo, che si stava specializzando nell’uso del sintetizzatore. Aveva
partecipato ad alcune performance del gruppo Musica Elettronica Viva e poi aveva sviluppato un suo progetto
solista, Crystal Machine, proprio
intorno all’utilizzo del synth.
Inoltre nel dicembre del 1972 i Gong si recano a Fontainebleu a vedere
il concerto del loro amico Kevin Ayers
e del suo gruppo Decadence, nelle
fila del quale è presente un chitarrista che Malherbe con Allen
decideranno immediatamente di coinvolgere nelle registrazioni del nuovo disco: Steve Hillage.
Prima delle sedute di
registrazione ancora una volta la sezione ritmica subisce l’ennesimo cambio,
con l’abbandono di Tait e il ritorno
di Laurie Allan alla batteria e Rachid Houari alle percussioni.
Le registrazioni avvengo in un
clima difficile, teso, con Francis Moze
che cerca di imporsi come direttore musicale del gruppo e il rapporto tra Tritsch e Allen sulla via della rottura, che poi effettivamente avverrà.
Inoltre il tecnico del suono Simon
Heyworth è in evidente difficoltà nel padroneggiare le attrezzature del
nuovo studio e questo aumenta le tensioni e il nervosismo, con dimissioni e
abbandoni a catena: il manager Bob
Bènamou, Christian Tritsch, Francis Moze, Laurie Allan, Rachid Houari,
e alla fine persino Daevid e Gilli. Ad aggiungere un elemento ancor
più bizzarro c’è anche la cacciata dallo studio di un certo Mike Oldfield che era lì per registrare Tubolar Bells ma in quel momento i Gong avevano la precedenza in quanto clienti “paganti”!
Fin qui le vicende, per così dire
di cronaca, che portano al primo lavoro della trilogia Radio Gnome Invisible, Flying
Teapot. Soffermiamoci un attimo sulla composizione del gruppo e sul deciso,
anche se non pienamente definito, cambio di estetica musicale che avviene con
le registrazioni di questo nuovo lavoro.
Il primo nucleo dei Gong è caratterizzato musicalmente da
tre elementi.
Le composizioni alquanto
originali di Allen, ricche di cromatismi
e nonsense musicali e testuali, figlie della psichedelia anni ’60 così come
della sperimentazione, vicine a Zappa
e Beefheart, il tutto colorato dalla
sua glissando guitar, mutuata da Syd
Barrett.
Il sassofono e il flauto di Didier Malherbe, non propriamente un
jazzista ma un estimatore delle sonorità etniche, abile nel tematizzare e ricamare
le strambe melodie di Allen.
Il soffio spaziale di Gilli Smyth, che fluttua attraverso le
note dei Gong e ne definisce una
sonorità eterea, cosmica.
Il nuovo corso gonghiano, che
possiamo già ascoltare in grossa parte su Flying
Teapot, presenta alcune consistenti novità: innanzitutto il suono del synth
VCS3 di Tim Blake che dà profondità,
rafforza la componente spaziale (lo space rock tante volte evocato proprio per
definire la musica dei Gong) e
ammanta di fascino e mistero la musica del gruppo, in questo ricollegandosi in
parte, e lo vedremo in dettaglio, ai Pink
Floyd degli anni ’70.
Ancora non pienamente sfruttata,
anzi decisamente sottoutilizzata in Flying
Teapot, la chitarra di Steve Hillage. Probabilmente a causa della
presenza nel gruppo di Christian Tritsch,
il solismo così evocativo e sognante di Hillage,
che sarà fondamentale nei capitoli successivi, qui ancora non è presente, limitandosi a brevi
apparizioni, perlopiù nascosto o immerso nel magma sonoro.
La sezione ritmica inizia ad
avere una sua stabilità e a sostenere quelle fughe strumentali che, seppur poco
presenti in questo lavoro, già iniziano ad avere la loro importanza
nell’estetica del gruppo.
pop
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