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giovedì 27 febbraio 2020

Radio Gnome Invisible. La Trilogia del Pianeta Gong. Parte 2

Flying Teapot


Registrato dal 2 al 14 gennaio 1973, missaggio effettuato dal 26 febbraio e pubblicato dalla Virgin il 25 maggio (ma per precedenti accordi del gruppo con la BYG di Karakos il disco è edito a doppia etichetta BYG/Virgin), Flying Teapot si apre  con Radio Gnome Invisible, tipico brano a firma Allen, ricco di cromatismi, bizzarre melodie, orientalismi, sassofono decorativo e soffi e gorgheggi stralunati. Da questo punto di vista non troppo lontano da You Can’t Kill Me, brano di apertura del precedente Camembert Electrique. A predominare sono ancora, e lo saranno per gran parte del lavoro, basso, batteria, chitarra, sassofono e voce. Ma il secondo brano invece, Flying Teapot, a firma Allen e Moze, mostra decisi cambiamenti e illumina un percorso che verrà ancor più sviluppato nei  due successivi lavori della trilogia. Si tratta di una tipica fuga strumentale gonghiana, che inizia dalle parti di Echoes dei Pink Floyd di Meddle e poi si sviluppa lungo un classico riff di basso un po’ alla Hugh Hopper, dove si aggiungono i suoni del synth a dare spazialità e evocazione, inserti jazzati di Malherbe e cantilene alleniane, improvvisazioni e strappate alla Zappa, percussionismo alla Art Ensemble Of Chicago. Uno dei capolavori del pianeta Gong, che giustamente sarà parte significativa della loro architettura sonora e del loro repertorio live.


La seconda facciata si apre con The Pot Head Pixies, anche qui passaggi cromatici, basso batteria e chitarra energici e sostenuti dalle decorazioni del sassofono, solito campionario zappiano, un po’ di Captain Beefheart. Non lontani da Camembert Electrique, in questo denotando una certa difficoltà nel passare alle nuove sonorità, anche nell’integrare meglio gli ultimi arrivati come Hillage e Tim Blake, ovviamente ancora troppo nuovi per poter essersi inseriti pienamente.

Il secondo brano, The Octave Doctors & The Crystal Machine, è interamente suonato dal VCS3 di Blake, una sorta di brano ambient non lontano da certe atmosfere del Third dei Soft Machine.
Con Zero The Hero And The Witch’s Spell torniamo alle fughe strumentali, alla psichedelia dilatata, alla piena integrazione e sviluppo dei brani di Allen con le elaborazioni e gli inserimenti strumentali che trasportano l’ascoltatore in dimensioni differenti, tra etnicismi e soffi spaziali, improvvisazioni alternate a inserti cantati e sussurrati, pastiche e ipnotismi, riff e ostinati, assoli e caos organizzati. Da notare la forte somiglianza della parte inziale con Welcome To The Machine dei Pink Floyd di Wish You Were Here, pubblicato due anni dopo.
Il finale, Witch’s Song, I’m Your Pussy, a firma Smyth e Allen è affidato al canto sinuoso e improvvisamente delirante di Gilli che riporta le sonorità ai primi tempi del duo Gong, tra Barrett e Beefheart, accompagnati dal fido Malherbe.


Il primo atto della trilogia si conclude quindi con un lavoro in parte ancora acerbo, diviso com’è tra la vecchia formula tutta bizzarria e nonsense del primo periodo e l’evoluzione verso fughe strumentali e dilatazioni cosmiche già in parte definite. La parte testuale, che in questo caso, come anche nei precedenti lavori, riveste un ruolo importante la analizzeremo successivamente, cercando di definire in modo unitario la/le storia/storie del pianeta Gong attraverso l’intera trilogia.

Come abbiamo visto, le registrazioni di Flying Teapot hanno portato all’implosione del gruppo. Bob Bènamou, il loro manager, dopo tre anni al servizio della band e una grossa quantità di tempo e soldi spesi per lanciare il gruppo, decide di lasciare. Moze, Tritsch, Allan, Houari abbandonano i Gong, e persino Daevid e Gilli decidono di prendersi una delle loro ricorrenti pause tornandosene alle Baleari e occupandosi solo del missaggio del disco. 
A questo punto, di concerto con Gomelski, Didier Malherbe si incarica di continuare l’attività del gruppo sotto un nuovo nome, ParaGong, e di amalgamare i nuovi arrivati Blake e Hillage. Per una serie di circostanze particolari, amici comuni e voglia di mettersi alla prova con un gruppo rock, Pierre Moerlen diventa  il nuovo batterista. Percussionista, vibrafonista, batterista e compositore, Moerlen ha studiato al conservatorio di Strasburgo e ha fatto parte dell’ensemble Les Percussions Des Strasbourg, collaborando inoltre con piccoli gruppi di jazz rock come Hasm Congelateur in compagnia del futuro chitarrista dei Magma Gabriel Federow
All’inizio alquanto indeciso se intraprendere una carriera da percussionista classico o dare seguito alla sua passione per il rock, Moerlen, nonostante la crisi nella quale si dibatte il gruppo, accetta l’invito di partecipare a questo esperimento chiamato ParaGong, in compagnia di Malherbe, Blake, Hillage e del nuovo bassista Didier Thibault, ex Moving Gelatine Plates, gruppo alla Soft Machine, suggerito da Gomelski come sostituto di Francis Moze.


L’attività dei Paragong, fino a fine aprile, sarà inaspettatamente fondamentale per il futuro dei Gong. Lontani dai tormenti creativi di Allen e Smyth, e finalmente stabilizzatisi con una formazione di assoluto valore, i cinque musicisti avranno tutto il tempo di perfezionare la loro intesa, provare i nuovi brani e affinare i live. 
Per Tim Blake in realtà l’esperienza non fu così positiva, con difficoltà a suonare il repertorio dei due dischi sin lì registrati, Camembert Electrique e Flying Teapot, e la mancanza di tempo per comporre nuovi brani. Ma in realtà questa parentesi effettivamente contribuì a costruire in modo definitivo il gruppo Gong e la sua  nuova architettura sonora che poi sarà quella classica al quale sia i fans che i musicisti stessi  faranno riferimento. Resta ancora il tempo per un ulteriore cambio di formazione, con l’arrivo al posto di Thibault, del bassista Mike Howlett, ascoltato a Londra da Allen, e scelto proprio dall’australiano per sostituire Didier Thibault. All’inizio il background funky rock del nuovo bassista si scontra con l’impostazione classica e precisa di Moerlen,  “ma alla fine siamo riusciti a trovare un buon equilibrio tra cuore e cervello, tra emozione e tecnica”, dirà poi Mike.

All’inizio di maggio Daevid e Gilli tornano dalle Baleari e trovano un gruppo ben affiatato, con un suono preciso e anche una serie di nuove idee. Nei concerti live di ParaGong la scaletta era formata da alcune vecchie composizioni, per esempio Why Are We Sleeping di Kevin Ayers o una rielaborazione di Fohat Digs Holes In Space, da Camembert Electrique, ma anche da nuovi brani che poi, con i contributi di Allen e Smyth, faranno parte del secondo lavoro della trilogia: I Never Glid Before, Sold To The Highest Buddha, The Other Side Of The Sky. Secondo Tim Blake a questa lista andrebbero aggiunti anche Inner Temple/Outer Temple e Oily Way. Un bel cd uscito per la GAS nel 1995 testimonia questo breve ma importante periodo dell’attività di ParaGong, Live 73.


Da maggio agli inizi di agosto la nuova formazione a sette dei Gong è impegnata nel tour promozionale di Flying Teapot, con concerti memorabili, brevi set organizzati dall’etichetta Virgin e live divisi a metà con il gruppo tedesco Faust. Dal 3 al 16 agosto presso il Pavillon du Hay, a Voisinesin Francia, la residenza collettiva dei Gong, grazie al Mobile Manor, il nuovissimo studio mobile della Virgin, vengono effettuate le sessioni di registrazione per il nuovo disco.  Mike Howlett, il nuovo bassista, racconta che venne registrata la sezione ritmica, cioè lui, Hillage e Moerlen, al piano terra, nella sala prove, Daevid Allen era invece nel piano di sopra, la sala meditazione, mentre Gilli, Malherbe e Tim Blake erano collocati in diversi punti della foresta circostante. 

Prima session dello studio Mobile Manor e tra i primi lavori in Europa ad essere registrati con un 24 piste, la registrazione fu condotta questa volta con assoluta efficacia da Simon Heyworth, coadiuvato da Daevid Allen. Su disco viene accreditato in qualità di produttore Giorgio Gomelski, ma secondo Mike quest’ultimo si presentò solo durante il missaggio, iniziato il 18 settembre 1973 al Manor. In realtà i produttori furono effettivamente Simon e Daevid, come confermò successivamente lo stesso Gomelski: “il rapporto molto efficace tra Simon e Daevid mi spinse a lasciare la produzione nelle mani di Simon”.

pop

martedì 25 febbraio 2020

Radio Gnome Invisible. La Trilogia del Pianeta Gong. Parte 1

Questa è la prima parte del lungo articolo che la rivista Prog Italia Magazine ha pubblicato nel numero 26, corredato di bellissime foto e di una pagina, non presente su questo blog, che annunciava l'uscita dello splendido cofanetto Love From Planet Gong: The Virgin Years 1973-1975, curato da Steve Hillage e comprendente ben 13 cd e un libretto di 63 pagine. Potete immaginare che solo questo cofanetto esiga un ampio e articolato commento a parte, che prima o poi farò. Nel frattempo qui sono raccontate le vicende e le musiche dei Gong nel loro momento migliore: gli anni della creazione della splendida trilogia, Radio Gnome Invisible,  e di un immaginario musicale fantastico, affascinante e coinvolgente.


Radio Gnome Invisible

Nell’agosto del 1967 i Soft Machine, reduci da una serie di concerti in Costa Azzurra, decidono di posticipare un loro già programmato concerto ad Amsterdam e continuare per alcuni giorni la loro permanenza in Francia. Il 24 dello stesso mese si recano al porto di Dover per fare finalmente rientro in Gran Bretagna e lì la polizia doganale, dopo controlli approfonditi, scopre che Daevid Allen ha il permesso  per risiedere e lavorare in Inghilterra scaduto. Il resto del gruppo parte mentre Allen non può far altro che rimanere in Francia e dirigersi verso Parigi, dove verrà poi raggiunto da Gilli Smyth.


Questo banale imprevisto, con un pesante intervento del fato che a Daevid sicuramente non sarà passato inosservato, in realtà ha determinato in modo significativo le vicende musicali di due fra i più importanti gruppi della storia del rock: Soft Machine e Gong. E’ proprio grazie all’impossibilità di tornare in Gran Bretagna che Daevid Allen si stabilisce a Parigi e, tra le innumerevoli attività che intraprende e i tanti avvenimenti, non ultimo il ’68 francese, che lo vedono protagonista, con insolita preveggenza mette in piedi quello che all’inizio altro non era che un collettivo dal nome Gong.

Mentre i Soft Machine continuano in trio e vanno in tour negli USA di spalla a Jimi Hendrix, Daevid Allen, insieme a Gilli Smyth, sembra barcollare tra progetti più o meno stabili, concerti importanti come quello di Stoccolma con Don Cherry, rimpatriate con Kevin Ayers e i Softs, collaborazioni saltuarie e serate soliste nei bar della Rive Gauche. In realtà la sigla Gong comincia subito a circolare negli ambienti parigini, all’inizio solo come duo con Gilli, poi radunando intorno a sé altri musicisti, “about eight of the maddest musicians imaginable” come dirà poi Daevid e incontrando immediatamente i favori del pubblico e della critica. Accanto alla sigla Gong Allen organizza ( non propriamente la parola più adatta per un tipo come l’australiano) un altro ensemble, Bananamoon, che registrerà del materiale poi pubblicato solo nel 1993.

Intorno al 1969 il progetto Gong inizia a stabilizzarsi con l’arrivo del sassofonista e flautista Didier Malherbe, il chitarrista e bassista Christian Tritsch e il batterista Rachid Houari,  questi ultimi due entrambi insoddisfatti delle loro carriere al fianco di star francesi come Johnny Hallyday e Claude Francois. Questo nucleo, escluso Tritsch,  registra il primo disco dei Gong, Magick Brother, anche se effettivamente il lavoro è intestato a Daevid Allen e Gilli Smyth. Come dirà Didier Malherbe, “era un album di Daevid, delle sue canzoni, non proprio un album dei Gong”.  


Insieme ad Allen, Smyth, Malherbe e Houari ci sono una serie di ospiti come Barre Philips al contrabbasso e Earl Freeman sempre al contrabbasso e al piano, entrambi esponenti dell’area free jazz, musicisti abituati all’improvvisazione sia libera che più propriamente jazzistica e con collaborazioni di tutto rilievo come Archie Shepp per quanto riguarda Freeman. Il disco esce per la BYG di Jean Karakos, etichetta che pubblicherà anche i lavori, tra gli altri,  dell’ Art Ensemble Of Chicago, Sun Ra, Steve Lacy

Il lavoro è una sorta di pastiche psichedelico, dalle parti di Syd Barrett e Kevin Ayers,  folk e pop dalla strumentazione scarna, filastrocche, scherzi musicali e prodromi futuri del pianeta Gong, soprattutto verso la fine del disco.
Decisamente più significativo è il successivo Camembert Electrique, vero e proprio primo lavoro del gruppo Gong. La formazione, rispetto a Magick Brother, vede al posto di Richard Houari Pip Pyle, batterista che sarà fondamentale per la scena di Canterbury (Hatfield And The North e National Health), presentato ad Allen da Robert Wyatt, Christian Tritsch al basso e il nucleo fondamentale dei Gong, Daevid Allen alla voce e alla sua glissando guitar, Gilli Smyth al soffio spaziale e Didier Malherbe ai fiati.


Pubblicato all’inizio solo in Francia sempre dalla BYG nel 1971, Camembert Electrique è disco compiuto, ben suonato, con dei brani che faranno parte del classico repertorio live del gruppo e intriso di glissandi, soffi, stranezze zappiane e un’incredibile energia. L’estetica gonghiana inizia a prendere forma, con passaggi psichedelici uniti a loop e bizzarrie cosmiche. Anche per quanto riguarda i testi iniziano ad emergere gli elementi portanti che saranno poi definitivamente sviluppati nella trilogia. 
Ultima annotazione: il 1971 vede anche la pubblicazione del disco solista di Daevid Allen, Banana Moon, con Robert Wyatt alla batteria, e altri strani progetti che vedono coinvolti i Gong, dalla colonna sonora per un documentario su due campioni di motociclismo, Giacomo Agostini e il suo rivale francese Jack Findlay, alla collaborazione con il regista cinematografico Martial Raysse per il suo film Le Grand Depart.


Ed arriviamo finalmente alla nostra trilogia.
Dopo la pubblicazione di Camembert Electrique i Gong intraprendono una serie di concerti, coadiuvati in questo dal  loro manager Bob Bènamou e dalla super visione di Giorgio Gomelsky, figura centrale dell’underground inglese. 
Ma Allen non è certo tipo da normale carriera musicale e quindi, tra continui cambiamenti di formazione e difficoltà gestionali, a metà agosto 1972 decide di interrompere brevemente l’avventura Gong per concentrarsi sulla vita familiare e sulla poesia. Bènamou cerca di persuadere Allen nel continuare, anche con nuovi musicisti e con un progetto suggeritogli da Gomelsky, una trilogia che lo stesso Gomelsky già aveva proposto al gruppo rock progressive francese Magma. Allen è incuriosito e ben disposto, decide quindi di iniziare a lavorare su questa proposta durante il suo soggiorno estivo a Deja (Isole Baleari), usuale ritrovo hippie frequentato anche da Wyatt, Ayers e altri musicisti. 
A settembre Daevid si reca in Inghilterra a visitare il nuovo studio di registrazione della neonata casa discografica Virgin di Richard Branson, il Manor , allestito in un maniero a nord di Oxford. 


Qui iniziano anche le audizioni per cercare una nuova sezione ritmica per il gruppo, che aveva visto avvicendarsi alla batteria Pip Pyle, Laurie AllanMac Poole (ex Warhorse) e Charles Hayward (ex Quiet Sun). La scelta cade su Rob Tait, ex batterista di Pete Brown, con la sua compagna Diane Stewart-Bond alla voce e alle percussioni. 
Per il ruolo di bassista Wyatt, presente alle audizioni, suggerisce l’ex Matching Mole Bill MacCormick, il quale dopo pochi giorni in Francia decide di lasciare. A quel punto Gomelski, in qualità di produttore del nuovo lavoro dei Gong, propone ad Allen Francis Moze, bassista del gruppo progressive francese Magma, con il quale avevano in passato diviso il palco. 
Per Gomelski il problema principale del gruppo era proprio la sezione ritmica, spesso instabile e non in grado di far decollare in modo significativo le composizioni di Allen. La sicurezza e la precisione di Moze avrebbero dato una base stabile e compatta al nuovo lavoro dei Gong.


Allen da parte sua decide di includere nel progetto Tim Blake, in passato roadie e collaboratore del gruppo, che si stava specializzando nell’uso del sintetizzatore. Aveva partecipato ad alcune performance del gruppo Musica Elettronica Viva e poi aveva sviluppato un suo progetto solista, Crystal Machine, proprio intorno all’utilizzo del synth. 
Inoltre nel dicembre del 1972 i Gong si recano a Fontainebleu a vedere il concerto del loro amico Kevin Ayers e del suo gruppo Decadence, nelle fila del quale è presente un chitarrista che Malherbe con Allen decideranno immediatamente di coinvolgere nelle registrazioni del nuovo disco: Steve Hillage.
Prima delle sedute di registrazione ancora una volta la sezione ritmica subisce l’ennesimo cambio, con l’abbandono di Tait e il ritorno di Laurie Allan alla batteria e Rachid Houari alle percussioni.
Le registrazioni avvengo in un clima difficile, teso, con Francis Moze che cerca di imporsi come direttore musicale del gruppo e il rapporto tra Tritsch e Allen sulla via della rottura, che poi effettivamente avverrà. 
Inoltre il tecnico del suono Simon Heyworth è in evidente difficoltà nel padroneggiare le attrezzature del nuovo studio e questo aumenta le tensioni e il nervosismo, con dimissioni e abbandoni a catena: il manager Bob Bènamou, Christian Tritsch, Francis Moze, Laurie Allan, Rachid Houari, e alla fine persino Daevid e Gilli. Ad aggiungere un elemento ancor più bizzarro c’è anche la cacciata dallo studio di un certo Mike Oldfield che era lì per registrare Tubolar Bells ma in quel momento i Gong avevano la precedenza in quanto clienti “paganti”!


Fin qui le vicende, per così dire di cronaca, che portano al primo lavoro della trilogia Radio Gnome Invisible, Flying Teapot. Soffermiamoci un attimo sulla composizione del gruppo e sul deciso, anche se non pienamente definito, cambio di estetica musicale che avviene con le registrazioni di questo nuovo lavoro.
Il primo nucleo dei Gong è caratterizzato musicalmente da tre elementi.
Le composizioni alquanto originali di Allen, ricche di cromatismi e nonsense musicali e testuali, figlie della psichedelia anni ’60 così come della sperimentazione, vicine a Zappa e Beefheart, il tutto colorato dalla sua glissando guitar, mutuata da Syd Barrett.
Il sassofono e il flauto di Didier Malherbe, non propriamente un jazzista ma un estimatore delle sonorità etniche, abile nel tematizzare e ricamare le strambe melodie di Allen.
Il soffio spaziale di Gilli Smyth, che fluttua attraverso le note dei Gong e ne definisce una sonorità eterea, cosmica.  
Il nuovo corso gonghiano, che possiamo già ascoltare in grossa parte su Flying Teapot, presenta alcune consistenti novità: innanzitutto il suono del synth VCS3 di Tim Blake che dà profondità, rafforza la componente spaziale (lo space rock tante volte evocato proprio per definire la musica dei Gong) e ammanta di fascino e mistero la musica del gruppo, in questo ricollegandosi in parte, e lo vedremo in dettaglio, ai Pink Floyd degli anni ’70.


Ancora non pienamente sfruttata, anzi decisamente sottoutilizzata in Flying Teapot, la chitarra di Steve Hillage. Probabilmente a causa della presenza nel gruppo di Christian Tritsch, il solismo così evocativo e sognante di Hillage, che sarà fondamentale nei capitoli successivi,  qui ancora non è presente, limitandosi a brevi apparizioni, perlopiù nascosto o immerso nel magma sonoro.  
La sezione ritmica inizia ad avere una sua stabilità e a sostenere quelle fughe strumentali che, seppur poco presenti in questo lavoro, già iniziano ad avere la loro importanza nell’estetica del gruppo.  


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