Caro Direttore,
Nel mio peregrinare mentalmente per i fatti e le cose
della vita, spesso mi soffermo ad osservare il buffo e il grottesco del nostro
modus vivendi.
Per esempio, lei ha mai riflettuto sul fatto che
abbiamo molti più ristoratori che dottori? Mi dirà che questo è segno di una
vita allegra e spensierata. Dubito fortemente che sia così, soprattutto in
questo periodo di pandemie. Ma di bizzarrie causate dal consumismo che sorregge
ogni nostro gesto ne potremmo citare a migliaia, magari mettendoci nei panni di
un extraterrestre in visita sul nostro pianeta per la prima volta, ignaro dei
nostri usi e consumi.
Osservarci con gli occhi e la mente completamente
sgombri dalle consuetudini e dal vissuto è certe volte assai stimolante perché
illumina azioni e oggetti che diamo per scontati, ormai assuefatti
all’esistente.
Devo dirle, a questo proposito, che fra tutte le
bizzarrie che ho rilevato durante questo esercizio mentale, ce n’è una che mi
sembra tra le più assurde: la vendita, e il conseguente acquisto spesso a caro
prezzo, di pantaloni jeans strappati, con l’aspetto già logoro.
Sono stati, negli anni Settanta, uno dei simboli della
contestazione, del rifiuto di una società perbenista, una sorta di protesta
contro il consumismo. Ebbene, proprio questo simbolo è stato completamente
rovesciato, sussunto dal mercato e reso non solo innocuo ma, di più, oggetto esso
stesso di consumo. Questo capitalismo predatorio e allo stesso tempo futile è
riuscito a rendere appetibile l’acquisto di pantaloni strappati, con i buchi,
lisi, dall’aspetto vissuto ma falso. Ci ha reso persino incapaci di “usare” i
nostri vestiti, di consumarli noi stessi. Fenomenale e, a suo modo, un emblema delle nostre società.
Sono sicuro che anche lei, Direttore, sarà d’accordo con me nel deprecare la follia di un tale sistema che, giorno dopo giorno, ci sta portando verso l’estinzione. Tutta colpa di un paio di jeans strappati? Forse…
La saluto cordialmente
Edmondo Fabbri
Suo assiduo Lettore