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venerdì 25 marzo 2022

Lettere al Direttore (2)

 



Caro Direttore,

mi trovo di nuovo a scriverle sperando di non importunarla troppo. Immagino stia pensando di trovarsi di fronte ad una sorta di stalker, ma le assicuro che non intendo passare per quelle figure assai inquietanti che assillano quotidianamente qualsiasi persona abbia un minimo di notorietà. Insomma, vorrei solo fornirle di tanto in tanto spunti, riflessioni e quesiti che mi sembra possano aiutarla nel suo lavoro, o perlomeno possano suscitare interesse nei suoi lettori, tra i quali ovviamente ci sono anch’io.

L’altro giorno, mentre sfogliavo una delle riviste musicali che saltuariamente seguo, mi sono imbattuto in uno strano personaggio a me fino ad allora sconosciuto. Eric Chenaux, apprezzato chitarrista canadese, molto probabilmente ignoto alla grande massa, ma credo che anche lei non ne abbia mai sentito parlare, né tantomeno abbia avuto modo di ascoltarlo. Ebbene, caro Direttore, incuriosito dall’articolo sul musicista in questione, sono andato ad ascoltare la sua musica e ne sono rimasto assai colpito. Devo dirle, in tutta onestà, che comunque ho avuto difficoltà nel seguire i brani del suddetto chitarrista. trovandoli di complicata fruizione. Tuttavia, cosa assai rara, l’ascolto di Eric Chenaux mi ha portato a riflessioni bizzarre. Bizzarre perché, lo riconosco, assolutamente gratuite per certi versi, o comunque prive di particolare interesse. Ma, mi sono detto, forse sono riflessioni che possono suscitare una sua risposta, o magari incuriosirla per approfondire argomenti finora poco trattati. In ogni caso, la prego, non si faccia remore nel cestinare questa mia, nel caso la trovi assolutamente insulsa.

L’inconsueta musica di questo introverso e misterioso chitarrista sembra essere frutto di un particolare mix tra delicate e cantabili melodie e un tipo di improvvisazione dai caratteri assolutamente liberi, audaci.  In breve, l’ascolto procede in un continuo entrare ed uscire da consonanze, la delineazione di tratti melodici alternati a dissonanze, suoni morbidi ed effetti rumoristici, o meglio elettronicamente modificati in un senso profondo di ricerca. Insomma, se da un lato ci si sente appagati e rilassati da motivi soavi che confinano con territori pop, ballads dal vago sapore jazz, dall’altra si è continuamente sobbalzati verso terreni avventurosi, a volte anche irritanti, nondimeno con un loro particolare fascino. Tutto ciò mi ha portato a riflettere sullo stato assolutamente misero della nostra popular music, in particolare di quel pop e rock da classifica che giganteggia nei media occidentali. Eppure, basterebbe aggiungere, o mescolare, queste musiche prive di avventura con qualche sano e rivitalizzante inserto improvvisativo perché il tutto assuma un nuovo colore, nuovi e speziati sapori. Invece si è ormai bandita del tutto l’improvvisazione, relegata alle musiche di stretta derivazione afroamericana come il jazz, lasciando solo la continua ricerca del refrain cantabile, scontato, della canzoncina con i soliti accordi, o della finta provocazione estetica per vendere il prodotto. Sono banditi persino gli assoli di qualsiasi strumento, e il risultato è un piattume generale, a meno che non si vada alla ricerca di musiche di nicchia. Non crede, Direttore, che sia il caso di provare a rompere ogni tanto questa sensazione del già sentito, di incrinare queste musiche patinate che sorvolano le nostre orecchie e le nostre menti senza lasciare alcuna traccia? In fondo, improvvisare fa parte della nostra vita quotidiana, perché espungere quest’atto dalla musica?

Spero di non averla annoiata troppo.

Cordiali Saluti

Edmondo Fabbri, suo assiduo Lettore  

  

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