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lunedì 19 ottobre 2020

Il Bue!

 

L’uscita della biografia del bassista degli Who, John Entwistle, mi fornisce l’occasione per una breve riflessione sul musicista e anche sul gruppo. The Ox, il bue, il soprannome di Entwistle, è sempre stato considerato un musicista tranquillo, probabilmente surclassato dalle personalità debordanti degli altri Who. Tuttavia questo non ha impedito, anche a lui, di vivere in modo dissoluto e ben sopra le righe, dimostrando nei fatti, ahimè, di non essere certo la pecora nera del gruppo. Ma, a parte gli eccessi e le sregolatezze, mi interessa analizzare, seppur brevemente, il musicista, il suo rapporto interno alla band, il suo ruolo. 


Di una tecnica eccezionale, in grado di suonare e arrangiare anche strumenti a fiato, autore parco ma di notevole talento, John Entwistle è stato allo stesso tempo la tipica figura del bassista rock e un’incredibile anomalia.

Come detto, fuori dai riflettori e in secondo piano rispetto ai vari Townshend, Daltrey e Moon, il bassista degli Who ricalca in questo, pienamente, il ruolo e l’estetica del bassista in ambito rock. A parte poche figure, il bassista elettrico, nel suo particolare ruolo ritmico e melodico, è quasi sempre in ombra, chiuso in quel suo agire di raccordo, lavorando ritmicamente e sorreggendo o talvolta evocando linee melodiche. Non c’è dubbio che chitarristi, cantanti e persino batteristi lo abbiano messo in secondo piano. Insomma, è raro trovare un frontman al basso, a parte ovviamente qualche caso. 



Ma Entwistle si discosta contemporaneamente da questo clichè, invero con poche eccezioni, proprio per quel suo particolare modo di suonare, che è assai lontano dalle pratiche del bassista rock. Provate ad ascoltare con attenzione il lavoro del basso su qualsiasi brano degli Who: c’è una varietà, un movimento e un’inventiva tali da dar vita a continui giri, linee melodiche, accompagnamenti, il tutto non mollando neanche per un attimo l’impulso ritmico, l’accordo con quell’incredibile batterista che è Keith Moon, altrettanto creativo nell’accompagnare i brani. E’ quasi una sorta di ribollio continuo, di infiorettamento che però diventa sostanza, tutto teso a sorreggere la linea vocale e allo stesso tempo a decorarla. In realtà la vera funzione ritmica è data dalla chitarra di Townshend. E’ lui che mantiene la staticità tipica del rock, il legame con la terra, mentre la ritmica sembra svolazzare in alto, quasi libera. Potremmo pensare di paragonarla alle ritmiche jazz, se non fosse che il drumming di Moon è così irruento e vigoroso da non potersi certo confondere con la finezza e l’interplay tipico di un batterista jazz. 

Tuttavia il basso di Entwistle effettivamente può avvicinarsi all’approccio jazzistico. Rispetto all’agire rock John elabora una pratica assolutamente composita che lo porta a non lavorare su giri stabili che si ripetono, ma a modificare incessantemente le linee di basso, in questo avvicinandosi al bassista jazz, il quale interpreta e dialoga continuamente con il solista da una parte e con il resto della ritmica dall’altra. Il tutto lo fa con una scioltezza e una spontaneità unici nel panorama popular, come se stesse compiendo la cosa più semplice al mondo. E basta così guardarlo, nei tanti filmati a nostra disposizione, con quella sua aria distaccata, da gentleman, come se fosse da un’altra parte rispetto alle intemperanze degli altri Who. Ma quelle sue dita della mano destra che blandiscono le corde dello strumento in modo gentile ma con una velocità e un'agilità incredibili, stanno lì a mostrarci come la sua flemma sia solo di facciata, mentre musicalmente produca un torrente di idee, un effluvio di creazioni ritmiche e melodiche da far girare la testa.


Speriamo solo  venga tradotta e pubblicata presto anche in Italia questa biografia: di certo ne leggeremo delle belle!


pop


martedì 13 ottobre 2020

La materia viva

Dopo averlo sfiorato varie volte, mancato per un soffio o perso all'ultimo istante, sono riuscito finalmente a vedere Richard Sinclair in concerto dal vivo.

Bassista, chitarrista, cantante, autore, membro dei Caravan e prima ancora dei Wilde Flowers, poi con Hatfield And The North, Camel, oltre a svariate collaborazioni sempre tra Canterbury e dintorni, Sinclair di quella scena musicale è stato uno dei protagonisti, avendo contribuito negli anni a segnarne le coordinate artistiche. Di più, la sua voce, il suono del basso, le sue composizioni rappresentano forse il nucleo centrale della musica canterburiana, l'essenza stessa. Ma questo è un discorso che necessita di approfondimenti e analisi che non è il caso di trattare, per ora, su questo blog.

Interessante, invece, è stato scoprire come quella musica, nelle mani e nella voce di un Sinclair ormai in là con gli anni e in solitudine (ma accompagnato comunque da un bravo Gianluca Milanese al flauto), fosse ancora viva, pulsante e...inaspettata. Ricchezza armonica, progressioni di stampo jazzistico e  sommovimenti ritmici hanno reso le versioni di Share It, Keep On Caring, Disassociation, If I Could Do It All Over Again...ancora fresche e sorprendenti, pur in una dimensione intimista. E hanno mostrato anche le notevoli capacità strumentali e interpretative di Sinclair. Sembrava musica scritta ora, assolutamente priva delle incrostazioni e della pesantezza che tanta musica degli anni '70 porta con se. Ma tutto questo è frutto di un approccio creativo alla composizione, movimentato, ironico. E attraversato in lungo e largo da un impeto improvvisativo che ha reso per l'appunto viva la materia. Dove improvvisazione significa dare forme nuove alle composizioni, mutarle e reinterpretarle in un continuo rigenerarsi. Cosa che a Sinclair riesce benissimo.


Un'ultima annotazione, diciamo così, tecnica, che riguarda la differenza delle musiche autenticamente canterburiane da quelle classicamente progressive rock. In questa versione scarna e solitaria si può meglio osservare come i brani, in questo caso di Richard Sinclair ma il discorso vale per l'appunto per il resto della scena di Canterbury, siano composti e attraversati da armonie di stampo jazzistico, i famosi accordi di undicesima e tredicesima che Dave Stewart, tastierista tra gli altri degli Hatfield And The North e dei National Health, affermava essere una delle caratteristiche della musica di Canterbury. Questo tipo di accordi ammorbidisce le atmosfere e le espande, dandogli un senso di leggerezza, in contrasto con la durezza e l'ampollosità dovute all'uso massiccio di triadi in ambito Prog. Ancora, questa ricchezza armonica favorisce, per l'appunto, un approccio improvvisativo costante e permette una malleabilità non certo così comune nel rock. Se a questo aggiungiamo il disincanto, il gioco, l'ironia diffusa che stempera anche le situazioni più seriose e formali, quasi dissacrandole, beh potremmo forse dire di aver scoperto la formula segreta della musica di Canterbury. 

pop

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

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