Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Bennie Maupin. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bennie Maupin. Mostra tutti i post

giovedì 19 marzo 2020

Weird Tales. Il Gioiello di Bennie Maupin!

Wayne Shorter, Joe Zawinul, Chick Corea, Larry Young, John McLaughlin, Dave Holland, Jack DeJohnette, Lenny White...e poi Harvey Brooks, Don Alias e Jumma Santos (alias Jim Riley). Questo è il personale che partecipò alle sessions di Bitches Brew di Miles Davis, uno dei dischi più importanti della musica occidentale, quel prodotto che può benissimo fregiarsi, senza scomporre nessuno, dell'appellativo di capolavoro. Ai più attenti sarà subito saltato agli occhi l'assenza di un musicista in questa lista: Bennie Maupin

La stragrande maggioranza dei nomi su elencati è come se fosse un who's who del jazz, una sorta di elenco di alcuni tra i più importanti musicisti della storia della musica afroamericana. Se si esclude Harvey Brooks, che jazzista non era e comunque, oltre ad aver registrato con Davis suonò anche con Dylan su Highway 61 Revisited e con i Doors di The Soft Parade, e il percussionista Jumma Santos, Bennie Maupin sembra l'unico a non aver avuto la stessa fortuna e carriera capitata agli altri. E' come se l'esplosione creativa propagatasi da quel doppio lp non lo avesse coinvolto pienamente, o in qualche modo lui se ne fosse ritratto, messo di lato dal fecondo vortice, anche commerciale va detto. 
Indubbiamente tutti i musicisti coinvolti in Bitches Brew avevano già una loro carriera, più o meno importante. Ma quel disco li portò alla ribalta negli anni successivi alla sua uscita (30 marzo 1970, Columbia), cambiandone persino le coordinate artistiche e incidendo profondamente sul prosieguo del loro percorso artistico. Tutti, eccetto forse il solo Bennie Maupin
E' vero, anche lui venne trascinato nel gorgo elettrico come componente, anche qui fondamentale, degli Head Hunters di Herbie Hancock e prima ancora, sempre a fianco di Hancock, nei dischi Mwandishi,  Crossings  e Sextant. Ma, per l'appunto, non sono suoi progetti, non sembra esserne volontariamente l'artefice, bensì un collaboratore, seppur importante, dell’ideatore di quei gruppi, cioè Hancock.

Multistrumentista, a suo agio con i sax tenore e soprano, con il flauto e con il clarinetto basso, Maupin è certamente distante dall'altro grande polistrumentista, Eric Dolphy. Dove il secondo è esuberante, angoloso, graffiante e irruento il primo è elegante, a volte soave, morbido e insinuante, si inserisce fra le pieghe dei suoni e costruisce con cura le sue improvvisazioni. Uno è passionale, l'altro è meditativo. Dolphy, pur nella sua breve carriera, ha collaborato con tantissimi musicisti, ha scritto pagine memorabili nella storia della musica afroamericana. Maupin è sicuramente un personaggio di secondo piano, meno incline alle collaborazioni, e con una produzione limitata pur se importante e significativa.
Dicevamo, a proposito dei musicisti di Bitches Brew, delle differenti e importanti carriere precedenti alla realizzazione del disco di Davis. Ecco, Maupin è tra i pochi a non avere alle spalle grosse collaborazioni. Saltuariamente con Horace Silver e Roy Haynes, nel 1967 è nel settetto di Marion Brown con il quale incide il bel disco Juba Lee (mentre nel 1970, sempre a nome di Brown, registrerà Afternoon Of A Georgia Faun, per la ECM), poi lavora abbastanza stabilmente con Lee Morgan registrando Caramba, il Live At Lighthouse e Taru, uscito nel 1980 ma registrato nel 1968. La collaborazione con Morgan lo porta anche a suonare con McCoy Tyner e a registrare Tender Moments, del 1968 e, a dimostrazione comunque delle qualità di Maupin, Together, del 1979, con una line up a dir poco stellare: Stanley Clarke, Jack DeJohnette, Freddie Hubbard, Hubert Laws, Bobby Hutcherson e il percussionista degli Head Hunters Bill Summers.


Su indicazione di DeJohnette, con il quale Maupin aveva registrato The DeJohnette Complex (disco d'esordio del batterista) e successivamente Have You Heard? e Sorcery, e dopo averlo visto dal vivo con McCoy Tyner, Miles Davis chiama il sassofonista per le sessions di Bitches Brew. Maupin si aspettava di dover suonare il sassofono mentre, con sua grande sorpresa, Davis gli chiede di suonare esclusivamente il clarinetto basso (https://www.thelastmiles.com/interviews-bennie-maupin/). Intuizione notevole, a conferma della grande intelligenza e del formidabile intuito di Miles, che caratterizzerà profondamente la musica di quel disco. Non possiamo immaginare Bitches Brew senza quel suono scuro, profondo e inquietante del clarinetto basso di Maupin, un suono che impregna tutta la musica e la rende selvaggia, ancestrale.
George Grella Jr, nel suo bel libro Bitches Brew, edito dalla Minimum Fax lo scorso anno, scrive, a proposito del primo brano del lato B del secondo disco: "Miles Runs The Voodoo Down, inoltre, dimostra quanto Maupin fosse fondamentale per Bitches Brew. Il clarinettista fa ciò che Miles gli ha chiesto di fare, inventarsi qualcosa sotto la linea principale, e se la cava a meraviglia. L'estensione del suo strumento non interferisce con il contrabbasso, tanto cristallina e inventiva è l'esecuzione: è evidente che Maupin ascolta gli altri musicisti con un'attenzione che gli permette di farsi sentire senza pestare i piedi a nessuno. Spesso Holland coglie al volo le sue frasi e le ripete in una sorta di pas de deux improvvisato dietro il solista. Un sublime esempio di interazione di gruppo".

Maupin sarà con Davis anche in altri dischi: A Tribute To Jack Johnson, Big Fun e On The Corner. A riprova dell'importanza del musicista nel progetto elettro funk di Miles.
Il suono caratteristico e l'approccio attento e profondamente relazionale di Bennie Maupin diventa fondamentale anche per Hancock e per il suo sestetto, fondato sulla scia del successo di Bitches Brew e della sua estetica elettrica. Mwandishi, Crossings e Sextant, la trilogia "swahili", sono una sorta di preludio all'esplosione commerciale degli Head Hunters, dove Maupin è l'unico componente del precedente gruppo rimasto a fianco di Hancock.



A questo punto, diventato abbastanza noto e caratterizzatosi come polistrumentista efficace e artefice del suono fusion, jazz funk, che va ormai per la maggiore, Maupin decide che è giunto il momento di registrare il primo album a suo nome, The Jewel In The Lotus, pubblicato dalla ECM nel 1974.
E qui ci troviamo di fronte ad un lavoro sorprendente, unico e mai più eguagliato. Un piccolo gioiello (The Jewel per l'appunto) anomalo, che getta una luce differente su Bennie Maupin.
I musicisti coinvolti sono quasi tutti del giro Mwandishi/Head Hunters: ovviamente Hancock al piano acustico ed elettrico, Buster Williams al basso, Bill Summers alle percussioni, Billy Hart alla batteria. E poi, potremmo definirli così, due outsider: Frederick Waits, altro batterista, a fianco di McCoy Tyner, Andrew Hill, in Karma di Pharoah Sanders e con Marion Brown in Back To Paris del 1980, mentre alla tromba, in soli due brani, c'è Charles Sullivan, battitore libero a fianco di Kenny Baron, Sonny Fortune Yusef Lateef tra gli altri.


Chi si aspettava di ritrovare le sonorità elettriche, i groove e i ritmi funk caratteristici delle frequentazioni di Maupin rimane completamente spiazzato. E' un lavoro che parla al futuro, e quindi al nostro presente, che illumina per la sua creatività e compostezza allo stesso tempo. Soprattutto è un disco corale, dove il leader non sovrasta ma coordina e organizza l'intero lavoro, facendo emergere un suono collettivo, dove non conta il solista ma l'espressione comune e la relazionalità. 
Altra particolarità: le due batterie, su due canali differenti, e le percussioni non lavorano sul groove,  ma colorano incessantemente la musica, la contrappuntano, ne sottolineano alcuni passaggi, fanno spesso da tappeto sonoro. C'è uno spazio dilatato, disteso, un respiro ampio che avvolge l'ascoltatore. 

Ensenada, il primo brano del disco, ha un'atmosfera pastorale , con il flauto accompagnato dal piano acustico che disegna larghe melodie e batterie e percussioni a colorare e tinteggiare delicatamente il brano. Mappo è più misterioso, con un inizio orientaleggiante del flauto, nel mezzo un breve accenno di ritmo regolare e le batterie che lavorano quasi esclusivamente sui piatti, per poi lasciare spazio, nel finale, alle scorribande al piano di Hancock che inquietano il mood del brano, inscuriscono e ispessiscono la composizione in un crescendo maestoso e atonale, per poi concludersi con pochi accordi di piano e la melodia iniziale del flauto. 
Ci sono due brevi intermezzi, Past + Present = Future e Winds Of Change, poetici e rilassanti, poche note, linee orientali,  piano e flauto nel primo brano, il secondo solo fiati. 
Excursion è introdotta dalla voce di Maupin filtrata, mescolata a suoni scuri, con un ottavino in lontananza e il contrabbasso che emerge con poche note. Poi giungono clarinetto basso e piano in un crescendo angosciante, un magma sonoro con la tromba sordinata che scandisce poche note. Le strappate e poi le urla del clarinetto basso ci portano in un vortice scuro, fatto di grida e frammenti pianistici per poi, dolcemente, adagiarsi e concludere. 
L'inizio di The Jewel In The Lotus, la title track, con piano elettrico e sax soprano sembra riportarci alla trilogia "swahili", ma è un'illusione, il groove non arriva, si rimane in uno spazio etereo, distensivo, con batterie e percussioni ad avvolgere il brano. In Songs For Tracie Dixon Summers c'è spazio per un'affascinante introduzione di contrabbasso, in splendida solitudine, e poi l'arrivo del sax soprano che tratteggia una larga e commovente  melodia sostenuta dal piano e, al solito, un contrappunto di batterie e percussioni. 
Il finale del disco è affidato a Past Is Past, un clarinetto basso suonato sulle note alte ed un elegante  pianoforte acustico: una conclusione struggente ed evocativa per un lavoro incantevole. 


Dicevamo dell'anomalia e dell'unicità di questo disco perché, nel frattempo, Maupin suona e registra tutt'altro. E' presente in molti lavori di Eddie Henderson, trombettista nei Mwandishi di Hancock e autore di una fusion abbastanza commerciale. Lo stesso Maupin pubblica a suo nome, nel 1977 e nel 1978, per la Mercury, due dischi assai lontani dalle atmosfere e dalla bellezza di The Jewel In The Lotus. Slow Traffic To The Right e Moonscapes, entrambi prodotti da Pat Gleeson, al synth su Crossing e Sextant di Hancock, sono due classici lavori di elegante funk, sulla scia degli Head Hunters. Intriganti groove, atmosfere compassate, ritmi ballabili, tutto molto lontano dal "gioiello nel loto". 

Di lui non si hanno più molte notizie fino agli anni 2000. Riappare sulle scene con Penumbra, a capo di un ensemble con alla batteria Michael Stephans, al contrabbasso il polacco Darek Oleszkiewicz e alle percussioni Daryl Munyungo Jackson. Composizioni registrate nel 2003 e pubblicate dalla Cryptogramophone nel 2006, Penumbra è anch'esso disco particolare, lontanissimo dal periodo funk e con atmosfere e suggestioni per alcuni versi vicine al suo primo disco solista. Non c'è uno strumento armonico e la musica, scarna e primitiva, è ricca di ritmi sotterranei, di sapore afro, con i fiati di Maupin a disegnare anomale melodie ed eleganti improvvisazioni, una narrazione morbida e  ben costruita. 
Nel 2008, sempre per la stessa etichetta, esce a nome Bennie Maupin Quartet, Early Reflections. A capo di una formazione di musicisti polacchi, Michal Tokaj al piano, Michal Baranski al contrabbasso, Lukasz Zyta alla batteria e percussioni, e in soli due brani la voce di Hania Chowaniek-Rybka, Maupin pubblica un disco certamente meno interessante di Penumbra. Il suono è sempre caldo, soprattutto al clarinetto basso, le note cercate e suonate con cura, le improvvisazioni hanno il carattere di piccoli racconti, ma il tono generale è un po' banale, forse troppo soft e alla ricerca della magia del Gioiello. Che purtroppo non arriva, e forse è giusto che sia così, che quel disco rimanga un prezioso ed unico lavoro custodito nel fiore di Loto, affascinante per la sua forma e il suo profumo.

Om Mani Padme Hum. Tra i più diffusi mantra del buddhismo tibetano, viene tradotto come Il Gioiello Nel Fiore Di Loto, o meglio ancora Gioiello Del Loto. Uno dei significati più noti è la collocazione del Gioiello, simbolo di amore illimitato verso tutti gli esseri e profondo desiderio di liberarli dalla sofferenza, nel Loto, simbolo della coscienza umana.


pop

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

  Kevin Ayers And The Whole World SHOOTING AT THE MOON Harvest 1970 Il secondo album solista di Kevin Ayers vede al suo fianco, al co...