Caro Direttore,
Le scrivo con un leggero sorriso sul mio viso, quasi con
una sorta di compiacimento. È buffo, lo so, ma appena ho saputo della sconfitta
della nazionale italiana di calcio per mano di una sconosciuta del football
mondiale quale è la Macedonia del Nord, la mia bocca si è increspata, i miei
occhi hanno sommessamente brillato e io mi sono seduto placido sul divano.
Lei forse sa, caro Direttore, che il mio nome è
omonimo del mitico allenatore Edmondo Fabbri, passato ahimè alla storia non per
le sue qualità ma per la ormai non più storica sconfitta e conseguente
eliminazione dai mondiali del 1966 con la Corea del Nord (buffa questa
simmetria geografica nordista!). E dico con piacere non più storica, perché credo
che quella sconfitta sia stata tutto sommato meno clamorosa di questa, avvenuta
sere fa. Quale ironia per un paese che per il calcio ha una folle devozione, un
credo immotivato e per certi versi immorale: mancare per la seconda volta di seguito
la qualificazione ai Mondiali per colpa di un’anonima squadra.
Per anni ho coltivato una sorta di ammirazione mista a
profondo dispiacere per quell’allenatore costretto a rimanere a bordo di un
aereo per più di un’ora senza poter scendere a causa dell’ira dei tifosi, impazziti
per l’inopinata sconfitta. Ora penso sia giunto il momento di lasciare in pace
il mio omonimo, di dimenticarlo per quella trascurabile eliminazione a fronte
di ciò che è avvenuto con gli onesti e sconosciuti macedoni, figli di un calcio
d’altri tempi, povero e modesto, lontano certo dai fasti e dal denaro
scintillante. È tempo di ridare dignità ad un personaggio che è stato sconfitto
non dalla Corea del Nord ma dal suo stesso paese, inadatto ad accettare
debolezze e umiltà. Viva Edmondo Fabbri.
L’omonimo
Suo assiduo Lettore
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