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venerdì 19 giugno 2020

Minimalisti di tutto il mondo, unitevi!

Il buon Terry Riley probabilmente una statua se la meriterebbe, non fosse altro per la duratura influenza che ancora esercita in ambito popular e non solo. Sembra che il suo minimalismo (e quello di Steve Reich e Philip Glass ovviamente) sia diventato una sorta di fuga ideale per molti musicisti, ormai propensi a cercare nell'ipnotismo ripetitivo il loro campo ideale.

 

Non può essere certo un caso il fenomeno Necks, arrivati ormai con l'ultimo Three, al ventunesimo album. C'è da dire che il trio australiano è certo il più aperto all'approccio improvvisativo, nondimeno il reiterare cellule melodico/ritmiche seppur improvvisate rimane la loro cifra stilistica, di certo affascinante. L'ultimo album continua a sorprendere pur restando all'interno della loro formula, con aggressioni ritmiche e paesaggi lunari, dolci arpeggi di pianoforte e iterazioni morbide. 


Ma in questo panorama geograficamente insolito dall'Australia si passa abbastanza sorprendentemente alla Svizzera. Qui la rotondità e anche l'estrema varietà di atmosfere dei Necks lascia spazio a formule matematiche, a veri e propri inserti ipnotici che trascinano l'ascoltatore in un'altra dimensione. Il pianista Nik Bartsch e il suo progetto Ronin sono rigorosi in questo approccio minimale. Cellule ritmiche e frammenti melodici si accumulano lentamente senza lasciare spazio a interferenze soliste, sfruttando al massimo l'elemento ossessivo. Il loro zen funk, come lo stesso Nik descrive la musica del gruppo, esiste dal 2001 e quindi anch'esso vanta una lunga militanza nei territori dell'accumulazione. Non sorprende, quindi, che abbia fatto proseliti. 


Il quartetto Sonar (minimal progressive groove band si definiscono), sempre svizzero, in questi ultimi due anni ha incluso tra le proprie fila, come ospite ma pienamente dentro il progetto, nondimeno che David Torn, chitarrista americano attivo nei territori sperimentali e sempre presente in uscite discografiche e progetti di alto livello. Qui a dominare le cellule musicali sono le chitarre e, a differenza dei Ronin, il materiale ipnotico è stemperato da lunghi paesaggi sonori che delineano sopra l'ossessività ritmico/melodica squarci spaziali, fughe stellari. Nondimeno l'elemento minimalista è preponderante e ricorda talvolta i King Crimson di Discipline, soprattutto il brano omonimo. Infatti il chitarrista Stephan Thelen (autore anche di pregevoli lavori solisti)  ha partecipato ai seminari di Robert Fripp e alcune sue composizioni sono state eseguite dal Kronos Quartet, altro mirabile esempio di minimalismo e longevità.
 

Proseguendo in questa rapida carrellata giungiamo finalmente là dove tutto è nato (o almeno sembra essere nato), gli Stati Uniti. I Sunwatchers sono un quartetto proveniente da Brooklin e, rispetto agli esempi precedenti, sono forse i meno minimalisti. Contraddistinti da un' anomala tessitura di sax e chitarra elettrica, i quattro (aiutati spesso da ospiti), pur lavorando su intrecci ripetuti spesso lasciano il campo a variazioni, inserti inquieti e assoli, lasciando respirare profumi psichedelici e aromi jazz. 


A chiudere il lotto (ma sicuramente di gruppi e progetti ce ne sono molti altri), sempre da New York, i 75 Dollar Bill, duo formato da Che Chen (chitarra) e Rick Brown (batteria). Qui il minimalismo mostra evidenti i suoi contatti con la musica folkloristica, in questo caso dalla Mauritania e da uno dei suoi gruppi etnici, i Mauri, con sovrapposizioni di ritmi e riff. Ma è abbastanza chiaro che tutti questi lavori, al di là dei compositori americani come Riley, Reich e Glass, fondino le loro radici in gran parte nella musica africana, nelle sue lunghe espressioni sonore fatte di ritmi intrecciati e linee melodiche. 


Possiamo benissimo allargare il campo anche ad altre forme musicali folk, lì dove la musica era strumento di ritualità, utile e necessaria alle popolazioni per entrare in contatto con altre dimensioni, spirituali e corporee. E qui veniamo a una breve riflessione sul significato di queste musiche che fanno della ripetizione la loro cifra stilistica. Un aspetto fondamentale è la lunghezza delle composizioni, in apparente contrasto con un mondo dove l'attenzione è minima e il messaggio deve essere veloce, rapido e conciso. Ma probabilmente è proprio questa la ragione del relativo successo di questi minimalismi. E' come se, a fronte di una continua sollecitazione visiva, sonora e intellettuale, questi musicisti cercassero un rallentamento, o meglio un'interruzione del flusso di informazioni portando gli ascoltatori in un'altra dimensione. La lunghezza e la reiterazione, l'ossessività e l'elaborazione di pochi parametri che lentamente si modificano, produce la creazione di un paesaggio sonoro che frena le modificazioni della nostra mente. E tutto sommato non sarebbe male fermarsi un attimo e uscire dal vortice, lasciarsi trasmutare in una trance sonora, un buco spazio/temporale che ci lasci assaporare un diverso fluire del tempo, più esteso e multiforme. 

Piccola discografia consigliata

The Necks, Hanging Gardens, Fish Of Milk, 1999
The Necks, Drive By, Fish Of Milk, 2003
The Necks, Three, Fish Of Milk, 2020
Nik Bartsch's Ronin, Stoa, ECM, 2006
Sonar With David Torn, Vortex, RareNoise, 2018
Sonar With David Torn, Tranceportation Vol.1, RareNoise, 2019
The Sunwatchers, Oh Yeah?, Trouble In Mind, 2020
75 Dollar Bill, I Was Real, Thin Wrist Recordings, 2019

pop
  

3 commenti:

  1. Lo ripeto da tanto, l'unica valida e davvero importante che viene dagli USA è la musica. Non è poco però ... e dunque proviamo a sentire qualcuno dei qui citati riferimenti

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  2. Avendo qualche minuto integro la frettolosa e scarna nota di commento precedente (che potrei salvare … chiamandola minimalista).
    A proposito dell’accennato irradiamento statunitense e in particolare del minimalismo, che sicuramente l'autore del Blog avrà più volte inquadrato, provo a dire la mia. La corrente musicale detta minimalismo credo sia un ramo - un assone direi - della storia della musica che proprio ci serviva.
    A chi scrive, oltre l’impatto motivo, l’aspetto evolutivo è forse quello che più affascina della galassia chiamata musica. I rimandi della tradizione popolare che in musica e canto riversa mille istanze e bisogni (religiosi amorosi politici militari lavorativi…) spesso incontrano la sapienza, o anche solo la volontà, di chi da peso normativo e nobiltà di scrittura mettendo quelle istanze nero su bianco in carta musicale, magari “colta”, la quale, lungi dal fissarsi per sempre, torna a sua volta spesso in un terreno da coltivazione. Per come intendo il minimalismo, al di là dell’aspetto estetico (nel senso basso del termine) che in genere reputo attraente, mi sembra di vedere molte filiazioni.
    Non ho studiato questo aspetto del fenomeno e neanche l’ho cercato ordinatamente però ho l’impressione che tanta della musica afferente alla zona “ambient” o new-age, entrata poi pure in colonne sonore di film o spot, sia derivata da quella corrente espressiva. Anche alcune sonorità assai diffuse qualche anno addietro, come la House o la Tecno mi sembrano ad essa attinenti.
    La rarefazione oltre che la ripetizione mobile ma ossessiva, cioè i tratti tipici della ricerca minimalista che ormai sta intorno al secolo di vita, secondo me hanno dato tanto al panorama sonoro, segno che in certi tempi c’è stato il bisogno di rappresentare queste nuove forme di espressione perché evidentemente almeno una parte di società andava in quella direzione. Leggere, come in questo blog, recensioni aggiornate ed esperte, con anche delle indicazioni di ascolto, può aiutare a capire meglio - in musica - certi nostri percorsi.

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  3. Sicuramente ambient e new age devono molto alla scuola minimalista, che certamente è molto più ampia di quanto ho raccontato nel mio post. Ma conto di tornarci! Grazie delle interessanti osservazioni. A presto!

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