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lunedì 4 luglio 2022

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

 

Kevin Ayers And The Whole World

SHOOTING AT THE MOON

Harvest 1970






Il secondo album solista di Kevin Ayers vede al suo fianco, al contrario del disco d’esordio, un vero e proprio gruppo. Mentre Joy Of A Toy era stato realizzato insieme ai suoi vecchi compagni dei Soft Machine, per questo disco Ayers allestisce un eccellente band formata da David Bedford (anche sul primo disco) in qualità di tastierista e arrangiatore, il sassofonista Lol Coxhill, già nei Delivery dei fratelli Steve e Phil Miller ed esponente di punta della scena impro/jazz inglese, Mike Fincher alla batteria e un giovanissimo Mike Oldfield al basso e alla chitarra.  Shooting At The Moon è un disco audace, che mantiene in vita ancora lo spirito delle serate di qualche anno prima all’Ufo Club, dove sperimentazione, pop, rock e bizzarrie varie convivevano tranquillamente sullo stesso palco. E così, ballate scanzonate con echi folk come May I? (uno dei più bei brani scritti da Kevin Ayers) e catchy pop songs quali The Oyster And The Flying Fish e Clarence In The Wonderland, si alternano ad episodi assolutamente sperimentali, vicini agli AMM di Keith Rowe e Cornelius Cardew, come gli otto minuti di Pisser Dans Un Violon (serve la traduzione??) o Underwater, più caratterizzata dai glissandi di bassi e chitarre. Atmosfere che ricordano anche la seconda parte di Moonchild, The Dream, del primo disco dei King Crimson, quel territorio tra musica contemporanea e improvvisazione libera nel quale David Bedford e Lol Coxhill sono personaggi familiari e conosciuti.  Ma c’è spazio, in Shooting At The Moon, anche per le suggestioni alla Terry Riley, quel manipolare nastri come su Rheinhardt & Geraldine/Colores Para Dolores, o la ripetizione ipnotica alla We Did It Again dei Softs come nella title track (la vecchia Jet-Propelled Photographs del repertorio dei primi Soft Machine). Un disco affascinante, probabilmente il migliore di Kevin Ayers, che qui dimostra tutto il suo talento e la capacità di aprirsi a territori inesplorati, cosa che purtroppo ripeterà sempre meno nel futuro. Ultima annotazione: la presenza della cantautrice Bridget St John su The Oyster And The Flying Fish e, immancabile, Robert Wyatt alla voce su Colores Para Dolores.


pop

martedì 14 giugno 2022

Recensioni. Free "Fire And Water"

                                       Free                   

FIRE AND WATER
Island 1970



Il successo e contemporaneamente l’inizio della fine, tutto nello stesso disco e nello stesso brano. All Right Now, basta questo per identificare immediatamente i Free, un gruppo che avrebbe potuto dire molto di più di quanto poi abbia fatto. 

Fire And Water è il loro terzo disco ed è quello della consacrazione a band di assoluto valore. Un rock blues energico, vibrante, una voce sporca e nera, una chitarra artefice di micidiali riff e assoli lineari, una ritmica potente con una speciale menzione ad un grande bassista purtroppo sottovalutato, Andy Fraser.   Paul Rodgers voce, Paul Kossof chitarra, il già citato Andy Fraser al basso e Simon Kirke alla batteria allestiscono un signor disco, dopo i due precedenti nei quali avevano preso le misure, e soprattutto scrivono una delle più belle hit della storia del rock, quella All Right Now che li porta in cima alle classifiche di tutto il mondo. Ma Fire And Water è un gioiello di equilibrio,  con una Mr Big che mostra un Fraser in grande forma, uno degli assoli di basso più belli mai ascoltati, e una commovente e colorata di soul Heavy Load, dove la voce di Rodgers si muove sinuosa sul suggestivo movimento armonico in minore. 

L’apertura, affidata alla title track, è sanguigna e compatta, con l’energica chitarra di Kossof a forti venature blues, mentre nel finale la batteria tribale di Kirke viene lasciata in solitudine, sfumata. La chiusura del disco è affidata al brano che più di ogni altro identifica i Free, quel riff micidiale che ti entra in testa e non esce più, quella All Right Now che sarà il tratto distintivo del gruppo per sempre. Dopo qualche mese verrà Highway, poi un temporaneo scioglimento, un bel disco live (Free Live) e una mesta conclusione con Free At Last. Ma la magia di Fire And Water non tornerà più e quel territorio musicale tra Cream e Led Zeppelin rimarrà, purtroppo, sguarnito.


pop

mercoledì 8 giugno 2022

Lettere al Direttore (7)




Caro Direttore,

Nel mio peregrinare mentalmente per i fatti e le cose della vita, spesso mi soffermo ad osservare il buffo e il grottesco del nostro modus vivendi.

Per esempio, lei ha mai riflettuto sul fatto che abbiamo molti più ristoratori che dottori? Mi dirà che questo è segno di una vita allegra e spensierata. Dubito fortemente che sia così, soprattutto in questo periodo di pandemie. Ma di bizzarrie causate dal consumismo che sorregge ogni nostro gesto ne potremmo citare a migliaia, magari mettendoci nei panni di un extraterrestre in visita sul nostro pianeta per la prima volta, ignaro dei nostri usi e consumi.

Osservarci con gli occhi e la mente completamente sgombri dalle consuetudini e dal vissuto è certe volte assai stimolante perché illumina azioni e oggetti che diamo per scontati, ormai assuefatti all’esistente.

Devo dirle, a questo proposito, che fra tutte le bizzarrie che ho rilevato durante questo esercizio mentale, ce n’è una che mi sembra tra le più assurde: la vendita, e il conseguente acquisto spesso a caro prezzo, di pantaloni jeans strappati, con l’aspetto già logoro.

Sono stati, negli anni Settanta, uno dei simboli della contestazione, del rifiuto di una società perbenista, una sorta di protesta contro il consumismo. Ebbene, proprio questo simbolo è stato completamente rovesciato, sussunto dal mercato e reso non solo innocuo ma, di più, oggetto esso stesso di consumo. Questo capitalismo predatorio e allo stesso tempo futile è riuscito a rendere appetibile l’acquisto di pantaloni strappati, con i buchi, lisi, dall’aspetto vissuto ma falso. Ci ha reso persino incapaci di “usare” i nostri vestiti, di consumarli noi stessi. Fenomenale e, a suo modo, un emblema delle nostre società.   

Sono sicuro che anche lei, Direttore, sarà d’accordo con me nel deprecare la follia di un tale sistema che, giorno dopo giorno, ci sta portando verso l’estinzione. Tutta colpa di un paio di jeans strappati? Forse…

La saluto cordialmente

Edmondo Fabbri

Suo assiduo Lettore 

martedì 31 maggio 2022

Weird Tales. Memorie islandesi: Reptile

 


 

Parlare oggi di Islanda e rock non fa più scalpore, tuttalpiù può ingenerare un pizzico di curiosità, quel leggero gusto di esotismo. Chiaro che il nome di Bjork venga immediatamente associato al binomio, ma l’Islanda non è stata solo lei. Quando, a fine anni Ottanta, si scoperchiò il cratere musicale del paese dei ghiacci, insieme ai “famosi” Sugarcubes, dove militava la stessa Bjork, uscirono fuori una serie di band interessanti e particolari. Che, con dispiacere, vennero più o meno sommerse dal successo della cantante dallo sguardo profondo e dalla voce incandescente, lasciando poche tracce di quel piccolo movimento rock/new wave che scuoteva Reykjavík.

A parte il fenomeno Abba, la Scandinavia, fino agli anni Ottanta, era rimasta abbastanza marginale in quanto a formazioni rock e dintorni, pur producendo in ogni caso materiali di buona qualità. Ovvio che l’esplosione del Progressive rock abbia facilitato, come un po’ in tutta Europa, Italia compresa, l’affermarsi di vie nazionali al rock e Bo Hansson è stato uno degli esempi di maggior qualità da questo punto di vista. Il tastierista svedese produsse, negli anni Settanta, alcuni pregevoli album (su tutti Sagan Om Ringen, pubblicato dalla Charisma come Music Inspired by The Lord Of The Rings nel 1972), meritandosi la piccola e circoscritta fama tributatagli a suo tempo. Dalle stesse parti si muoveva anche il bassista e compositore finlandese Pekka Pohjola, membro della band Wigwam e autore di interessanti lavori solisti anche insieme a Mike Oldfield. Più interessanti, e anche leggermente più conosciuti, Samla Mammas Manna, gruppo svedese inserito nell’alveo Rock In Opposition insieme ai nostri Stormy Six e ai ben più noti (e ispiratori del movimento) Henry Cow. Fin qui, comunque, nulla che provenisse dalla terra del ghiaccio. Ma la rivoluzione punk, e le susseguenti ramificazioni dark/new wave, diedero spazio e spunti creativi anche alla piccola scena islandese, e alla metà degli anni Ottanta cominciarono ad emergere suoni e note da quell’estremo lembo d’Europa.

Gli Sugarcubes furono la scintilla che illuminò l’isola, riscuotendo un successo inaspettato in patria e all’estero. Il loro primo singolo Birthday, nel 1988, lancia nelle chart inglesi l’album Life’s Too Good, edito dall’etichetta One Little Indian (successivamente anche Chumbawamba, The Shamen e Skunk Anansie nel loro catalogo), un mix di suoni pop/new wave, elementi eterei e ruggiti infuocati, a metà tra B-52’s e Talking Heads con lontani echi di Siouxsie. Il successo, non solo in Albione ma anche dall’altra parte dell’oceano, li porta in tour negli USA alla fine del 1988 a raccogliere ulteriori consensi e a programmare quindi un successivo album. Ma i contrasti interni al gruppo, con la separazione di Bjork dal chitarrista Thor Eldon Johnson e probabilmente differenze di vedute, li conducono a pubblicare un secondo lavoro debole, meno incisivo e ispirato, a segnare inaspettatamente il rapido esaurirsi della formula vincente. A quel punto il gruppo implode e, tra varie edizioni di singoli ed Ep, arrivano al terzo album ormai da separati in casa. Stick Around For Joy, del 1992, raccoglie critiche migliori del suo predecessore, arrivano persino ad aprire lo Zoo Tv Tour degli U2 ma la strada è ormai segnata e il gruppo la chiude lì, giusto in tempo per permettere a Bjork, l’anno successivo, di lanciarsi nella sua trionfale carriera solista con Debut, del 1993.

Tuttavia, anche se finora abbiamo parlato di Sugarcubes/Bjork, l’attenzione di questa puntata di Weird Tales è rivolta ai dintorni, alle storie dimenticate (as usual!) e quindi, tornando alla separazione di Bjork dal chitarrista Thor, questo piccolo episodio ci porta ad una singolare biforcazione della nostra storia. Margaret “Magga” Ornolfsdottir, di professione tastierista, convola a nozze con il chitarrista degli Sugarcubes e si aggiunge al gruppo diventandone a tutti gli effetti un nuovo membro e quindi partecipando alle registrazioni del secondo e del terzo ed ultimo disco. Ma da dove proveniva Magga?

Tra le miriadi di gruppi e piccole formazioni che scuotono Reykjavík negli anni Ottanta, ce n’è una particolare, bizzarra, stravagante, meno legata all’estetica anglosassone e con vaghi riferimenti al suono etno/world, pur se declinato in modo assolutamente personale. Sono i Reptile, Risaeolan in islandese, formati da Halldòra Geirharosdòttir, alias Dòra Wonder, attrice, cantante e sassofonista, Margrèt Kristin Blondal, alias Magga Stina, voce, violino e marimba, Sigurour Guomundsson, alias Siggi, chitarra, banjo e voce, Ivar Ragnarsson, alias Ivar, basso e synth, e Toti Kristjànsson, alias Toti K, alla batteria. Ai quali va aggiunta, per l’appunto, Magga Ornolfsdottir, che però nel 1988 lascia il gruppo per entrare, come si diceva sopra, negli Sugarcubes.

Per nulla bloccati dall’abbandono i Reptile confezionano nel giugno del 1989 il loro esordio discografico, un Ep edito solo in Islanda, per poi giungere l’anno seguente al loro primo (ed unico ahimè) lp, Fame and Fossils, preceduto dal singolo Hope/Kebab, entrambi pubblicati dalla indie label inglese Workers Playtime. Il disco è un autentico gioiellino che sprizza vivacità da tutti i pori, sfrontato e irruento come una punk band ma con le radici nel folk europeo. I richiami agli Sugarcubes ovviamente sono molti, a cominciare dalle voci femminili fino ai riferimenti non troppo velati ai B-52’s. Ma, come già accennato, il tutto è speziato di etno/world, con violini, sax, banjo e marimba che svolazzano sull’Europa dell’est e furoreggiano insieme ad una impetuosa ritmica di stampo new wave, saltando velocemente da un brano all’altro, senza posa. Allah è un Oriente evocato, ossessivo e trasfigurato, mentre Ivar Bongo proviene dai Balcani acidi e stralunati, con Candyflos war, dalle atmosfere alla Sugarcubes, e l’ipnotico ed incisivo rock Gun Fun ad alzare la temperatura del disco. Suggestioni teatrali contrappuntate dal banjo in What are you up to?, filastrocche nostalgiche dalla Russia con Shdee Myenya mentre il finale, Boys will be boys, lascia spazio al pieno furore punk rock chiudendo un lavoro di assoluto valore, eterogeneo ma  con una sua caratterizzazione stilistica unitaria, frutto di molteplici influenze sintetizzate con grande senso artistico.  

Il gruppo ottiene riconoscimenti all’estero (sulla scia del successo degli Sugarcubes) e nell’estate del 1990 parte per una serie di concerti negli Stati Uniti, tra i quali uno alla Knitting Factory di New York, con David Byrne tra il pubblico. Poi un tour in Europa e progetti per il secondo disco che, purtroppo, non andranno in porto. Prima Dòra Wonder è costretta a lasciare il gruppo per continuare i suoi studi come attrice teatrale, sostituita da Hreinn Stephensen alla chitarra e alla fisarmonica, poi l’abbandono di Magga Stina, in attesa di un figlio e intenzionata a lasciare il mondo musicale, quindi lo scioglimento definitivo pur avendo iniziato a registrare il nuovo materiale con il batterista degli Swans Roli Mosimann. Queste registrazioni, insieme a vecchi brani e gran parte di Fame and Fossils, verranno poi pubblicate nel cd postumo Efta! dall’etichetta islandese Smekkleysa (la vecchia label degli Sugarcubes che promosse gran parte della scena rock alternativa dell’isola, tra i quali gli stessi Reptile).

Un gran peccato perché, a distanza di più di trent’anni, la musica dei Reptile è ancora validissima e per nulla segnata dal tempo, attuale, fresca e moderna. Forse troppo attuale, il che spiegherebbe, in parte, i motivi del loro poco successo, soprattutto rispetto ai concittadini Sugarcubes. Come molte altre volte nella storia della musica (e non solo), forse ci si è spinti troppo in anticipo sui tempi e lo si è pagato a caro prezzo.

Difficile trovare il Lp Fame and Fossils oppure il cd Efta!, e quindi questo è il link di Youtube per ascoltare il particolarissimo lavoro dei Reptile. In più, un paio di siti dove si parla del gruppo e dove è possibile avere qualche informazione in più sulla scena islandese degli anni Ottanta.  

 

 https://youtube.com/playlist?list=PLIIjrCWWumJk143G3A8TF_jF8ZK90I3wq

https://grapevine.is/icelandic-culture/music/2016/01/27/a-band-to-remember-the-superfun-reptile-returns/

http://www.paulkienitz.net/leftfield.html

 

pop

lunedì 23 maggio 2022

Recensioni. Caravan "If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You"


 

Caravan

IF I COULD DO IT ALL OVER AGAIN, I’D DO IT ALL OVER YOU

Decca 1970

Parzialmente oscurato dal loro indiscusso capolavoro, IN THE LAND OF GREY AND PINK, IF I COULD DO IT…è il secondo disco dei Caravan e senz’altro uno dei lavori fondamentali del Canterbury Sound. Stessa formazione dell’album d’esordio, Richard Sinclair al basso e alla voce, David Sinclair organo e piano, Richard Coughlan alla batteria e Pye Hastings alla voce e alla chitarra elettrica e acustica, IF I COULD DO IT…vede anche la maggiore presenza di Jimmy Hastings (fratello maggiore di Pye Hastings) al flauto e al sax che imprime una decisa svolta rispetto al primo disco.

Le aperture jazzistiche sono in gran parte determinate proprio dai suoi interventi, supportati  dal lavoro armonico di David Sinclair. Significativa, da questo punto di vista, la suite finale Can’t Be Long Now, con un inizio dal vago sapore folk, morbido ed etereo, uno stupendo assolo di basso, e poi spazio ad un energico riff e agli interventi di sax e flauto che spostano la musica in ambiti jazz rock.  Il resto del disco è un abile alternarsi di atmosfere pop e brani più elaborati, ben suonato e con una precisa identità stilistica, più matura e distante dagli episodi beat del primo album. La title track è un mirabile esempio di catchy pop song, tipica canzone in salsa canterburiana, all’apparenza semplice ma finemente elaborata e, in questo caso, con un 7/4 davvero inaspettato e imprevedibile.  Da segnalare ancora un bellissimo assolo di David Sinclair su As I Feel I Die e l’altra affascinante suite, With An Ear To The Ground You Can Make It, ricca di aperture e di spazi soffici,   penetranti riff e un finale alla Terry Riley. Ma tutto l’album è ben suonato e mostra una  maturità compositiva notevole, avvincente preludio allo stupendo IN THE LAND OF GREY AND PINK.    

pop

venerdì 6 maggio 2022

RACCONTI DI CANTERBURY. La storia e le storie dei gruppi e dei musicisti della scena di Canterbury

 


 

RACCONTI DI CANTERBURY

 

La storia e le storie dei nostri protagonisti prendono avvio dalla Simon Langton Grammar School for Boys di Canterbury. Tipica scuola secondaria inglese di una cittadina di provincia, la Simon Langton “has always been proud of being a traditional English school in a traditional English town[1], e, come spesso accadeva e accade tutt’ora, oltre allo studio i circa 500 ragazzi iscritti alla scuola erano incoraggiati a partecipare a numerose attività organizzate all’interno come lo sport, il teatro, l’arte e ovviamente la musica, con la presenza di un coro e di un’orchestra. The fact that over a tenth of all the school’s pupils partecipated in the choir is a good illustration of how seriously Simon Langton took its music[2].

Fu in questa scuola che si incontrarono i fratelli Hopper, Robert Wyatt e Mike Ratledge. Brian Hopper e Mike Ratledge, più grandi di due anni, cominciarono a suonare insieme per il solo fatto che avevano ricevuto tutti e due un’istruzione musicale classica, Mike al pianoforte e Brian al clarinetto[3].

Registravamo e suonavamo insieme robe completamente improvvisate, liberamente ispirate alla musica colta contemporanea ma con riferimenti jazzistici sempre più marcati.[4]

Brian ricorda il brano di Eric Dolphy 245 ma anche le cose che faceva il trombettista Don Ellis, l’album How Time Passes, “wich stimulated further ideas on the integration of 20th century European serial music with unusual time signatures – a strong feature of latter developments by ex – Wilde Flowers (il primo gruppo della scena di Canterbury) musicians[5].

Le loro passioni non erano limitate solo alla musica ma anche alla fotografia, alla poesia e ai primi esperimenti multimediali[6], in una sorta di ricerca a tutto campo di un mondo differente da quello proposto dalla scuola, dall’educazione famigliare e dal tipico conservatorismo cittadino ed inglese in generale.

“I miei primi contatti con Robert furono a scuola e fuori dalla scuola, a Wellington House. Tutti noi ascoltavamo dischi di vario genere, soprattutto quelli che avevano a che fare con il jazz moderno, o talvolta con il blues…ma soprattutto con il jazz moderno”[7]. La famiglia di Robert Ellidge (poi prese il cognome della madre, Wyatt) era una famiglia di ampie vedute, progressista e culturalmente impegnata; madre giornalista e padre psicologo industriale, professione che dovette abbandonare a causa di una grave malattia.

Fu proprio per le condizioni di salute di George Ellidge che Robert si trasferì con tutta la famiglia in un piccolo villaggio a sud di Canterbury, in una casa grande e confortevole, Wellington House, in grado di permettere al padre di Robert, su una sedia a rotelle, di vivere i suoi ultimi anni in condizioni accettabili.

Honor Wyatt, nel suo precedente matrimonio, aveva vissuto alcuni anni a Majorca perché era amica del poeta Robert Graves e tale amicizia sarà importante per la crescita di Robert. More significantly for Robert’s future, George (Ellidge, il padre naturalmente) loved music, playing piano and listening to a surprisingly wide range of music. This included the modern classical works of composers such as Shostakovich, Hindemith and Bartok, but also opera and jazz[8]

E grazie al fratello maggiore, Mark Ellidge (figlio del precedente matrimonio di George), che aveva una numerosa collezione di dischi[9], Robert divenne un vero appassionato di jazz. Fu questo interesse a metterlo in contatto prima con il suo compagno di classe Hugh Hopper, attratto all’inizio dal rock’n’roll, e poi successivamente con Brian Hopper e Mike Ratledge. Quest’ultimo chiese in prestito a Robert un disco di Cecil Taylor - At Newport: the Gigi Grice-Donald Byrd Jazz Laboratory and the Cecil Taylor Quartet - pianista che Mike apprezzava molto e Robert ne fu onorato visto che la richiesta proveniva da uno studente più grande di lui[10].

Così questo gruppo di ragazzi iniziò ad incontrarsi anche fuori scuola, a casa di Robert, la Wellington House, dove si ascoltava musica, si discuteva e si suonava, anzi si improvvisava; Brian al clarinetto, talvolta alla chitarra, successivamente al sax contralto, Hugh al basso, Mike al piano e Robert tutta una serie di percussioni, tamburi, scatole di latta, persino una vecchia cornetta[11].

Qualche settimana prima del Natale 1960 a Wellington House venne accolto come pensionante un giovane beat australiano di nome Daevid Allen[12], arrivo che arricchì la compagnia di un elemento catalizzatore sia perché più grande di tutti gli altri sia perché aveva già esperienze di concerti, letture di poesie, presenze in compagnie teatrali di avanguardia, e anche un’ottima collezione di dischi jazz. “ Daevid aveva girato un po’ e la sua influenza fu decisiva in quel momento a Canterbury[13], e con la sua presenza Wellington House divenne una sorta di oasi culturale dove, come testimonia Kevin Ayers, altro personaggio importante della nostra storia, “accadevano delle cose, le persone discutevano e ricevevano un’istruzione e leggevano libri. E guardavano quadri e ascoltavano musica. Io non facevo nulla di tutto ciò ma ero affascinato e trovavo quelle persone davvero interessanti. Ma sì, Wellington House era come un rifugio, era davvero come essere in un altro Paese[14].

Fu grazie ad un amico di Daevid Allen, il batterista jazz George Niedorf, che Robert Wyatt iniziò ad avere lezioni di batteria e, in generale, le vaste conoscenze di Daevid allargarono il background culturale dei ragazzi che frequentavano Wellington House.

Comunque, nel febbraio 1963 Hugh Hopper e Robert Wyatt si trasferirono per un po’ a Londra invitati proprio da Daevid Allen, e lì formarono un trio di jazz e poesia. “Per qualche mese l’appartamento di Belsize Park si trasformò in una sala prove dove il Daevid Allen Trio improvvisò e sperimentò, spesso insieme ad amici in visita[15], tra i quali Brian Hopper e Mike Ratledge che in quel periodo studiava all’università a Oxford.

Secondo Mike Ratledge il gruppo eseguiva standard jazzistici e pezzi di Daevid senza distinzioni, “suonavamo senza curarci di cominciare dal punto giusto. Probabilmente assomigliavamo in certi momenti a brutte copie di Cecil Taylor e in certi altri a pessime imitazioni di Bill Evans[16].

In ogni caso, il cd pubblicato nel 1994, Daevid Allen Trio. Live 1963 per la Voiceprint, di una serata al Marquee club reca solo brani originali, quasi tutti di Daevid Allen, ed è una sorta di puzzle di poesie recitate, sperimentazioni para jazzistiche, non-sense e humour. In un brano c’è anche Mike Ratledge come ospite. Tutto sommato niente di indimenticabile, però è già presente la voglia di sperimentare, di cercare nuove forme espressive ancora non supportate, ovviamente, da esperienza e tecnica strumentale.

L’esperienza londinese finisce ben presto; Daevid va a Parigi, mentre in tempi differenti Hugh e Robert tornano a Canterbury. Ma, come accennato prima, la vitalità e la creatività di Allen agivano anche a centinaia di chilometri di distanza. Infatti, a gennaio del 1964 Hugh raggiunge l’australiano per un breve periodo a Parigi, e lì comincia i suoi primi esperimenti su tape loops, affascinato sia da Daevid stesso che da un suo amico: Terry Riley.

Nel frattempo, Robert si stabilisce per un po’ a Majorca, dall’amico di sua madre il poeta Robert Graves, invitando anche Kevin Ayers. I due talvolta suonano anche al locale Indigo Jazz Club di Palma de Mallorca. A fine estate del ’64 Daevid Allen li raggiunge portando con sé un drum kit, che qualcuno aveva lasciato nel suo appartamento a Parigi, in regalo a Robert[17].

Intanto, in Inghilterra esplode il fenomeno delle radio pirata - fino alla Pasqua del 1964 il sistema radiofonico era stato monopolio della BBC - che cominciano a trasmettere per ore e ore la nuova musica giovanile che sulla BBC aveva uno spazio limitatissimo. E così il rock dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who diventa una musica di successo e di grande impatto per l’immaginario giovanile. Impatto che avviene anche sui fratelli Hopper (Brian al sax e Hugh al basso), che iniziano ad essere affascinati dai gruppi beat, rhythm’n’blues e rock’n’roll dell’epoca. Così decidono anche loro di formare un gruppo beat. Ingaggiano un giovane chitarrista che conosceva gli accordi delle canzoni dei Beatles e poteva anche cantare, Richard Sinclair, e, con il ritorno a Canterbury di Robert Wyatt (batteria e voce) e Kevin Ayers (voce e chitarra), formano i Wild Flowers, mutati poi in Wilde Flowers su idea di Kevin per un omaggio ad Oscar Wilde. Daevid Allen invece rimane a Majorca.

Questa volta la base operativa si sposta nella casa dei genitori dei fratelli Hopper, Tanglewood, che vede un susseguirsi di prove su prove per arrivare ad avere un repertorio abbastanza vario e soprattutto in grado di far ballare i giovani dal vivo. Accanto a brani di Chuck Berry, Beatles, Rolling Stones, Who, James Brown, Wilson Pickett, Otis Redding, Bob Dylan trovano posto, nella scaletta dei Wilde Flowers anche alcuni brani di Cannonball Adderley, Monk, Coltrane e Ellington[18].

Tuttavia, chiara appare la matrice di gruppo beat con vocazione al ballo e al divertimento, al servizio di platee giovanili nei piccoli club della provincia inglese. Confrontata con l’esperienza del Daevid Allen Trio di qualche anno prima, netta appare la differenza sia di intenti che di scelte musicali: dalle sperimentazioni free immerse nel sottobosco della controcultura londinese alla ricerca del successo e dell’emulazione verso i più famosi gruppi beat e rhythm’n’blues dell’epoca.  Ma i primi esperimenti, le discussioni e gli ascolti fatti a Wellington House avevano comunque lasciato il segno, tanto da affiancare alle cover di brani famosi un crescente numero di composizioni originali, frutto anche della moda dell’epoca: con il successo dei Beatles moltissimi gruppi iniziarono a scrivere materiale originale.

Nel cd, uscito nel 1994 per Voiceprint - The Wilde Flowers - ci sono una serie di provini fatti con formazioni differenti e in anni diversi, ma sono chiare subito alcune cose: innanzitutto la vena creativa di Hugh Hopper, che compone quasi tutto il materiale registrato e, nel caso di Memories e It’s what I feel (A certain kind), sono brani che faranno parte del repertorio Soft Machine. Altro aspetto decisivo è l’esplosione di Robert Wyatt come cantante e non più solo come batterista. Una voce intensa anche se ancora non sempre intonata, ma dal timbro così originale, stilisticamente vicina al mondo black e in parte jazzistico, insomma vero e proprio tratto distintivo di un gruppo fin lì non molto significativo.

Ultima osservazione, la presenza e la rotazione, si comincia già da ora, di diversi musicisti che poi seguiteranno ad incontrarsi negli anni successivi. Richard Coughlan alla batteria con Wyatt alla voce, Pye Hastings alla voce e chitarra a 12 corde con Wyatt ai cori e alla batteria, Mike Ratledge all’ organo e al flauto (!). Se questo è frutto delle registrazioni effettuate in diversi anni e luoghi e poi inserite in questo cd/compilation, nondimeno è già un primo segno di condivisione di esperienze e amicizie.

La musica dei Wilde Flowers, ad ogni modo, scivola via abbastanza in fretta, un onesto beat condito, per l’appunto, da una serie di brani in alcuni casi già significativi ed intriganti, come Memories e Hope for happiness (scritta da Brian Hopper), anche se ancora acerbi e suonati non bene.

Ma quello che accadeva in tutta l’Inghilterra, con l’emergere della psichedelia e quindi larghi spazi alle sperimentazioni e all’improvvisazione, aveva un effetto fortissimo soprattutto su Robert Wyatt, unito poi all’influenza ancora predominante di Deavid Allen e delle sue idee alternative.

Robert voleva davvero cambiare direzione ma non sapeva che strada prendere. Dava il suo contributo ai Wilde Flowers ma veniva anche spinto dagli altri a intraprendere qualcosa di nuovo e inaugurare percorsi completamente inediti[19]. Così, ancora una volta Majorca diventa fondamentale per le nostre vicende. Durante la Pasqua del 1966 Daevid Allen e Kevin Ayers, sempre ospiti del poeta Robert Graves, conoscono un ricco proprietario americano di night club, Wes Brunson e questi, dopo aver ingerito acidi ed altre sostanze stupefacenti, dichiara di aver avuto una visione e di dover regalare un mucchio di soldi a persone che annunciassero la nuova era per servire Dio[20].

Kevin Ayers e Daevid Allen convincono Wes Brunson che sono loro le persone adatte a ricevere il finanziamento per mettere in piedi un gruppo musicale in grado di annunciare la nuova era.

E così accade; Brunson torna negli Stati Uniti, liquida le sue imprese e raggiunge in Inghilterra Daevid e Kevin, finanziando l’acquisto di strumenti musicali e l’affitto di un appartamento a Canterbury dove poter vivere e provare il repertorio del nuovo gruppo. I Mister Head, questo il nome scelto da Daevid Allen, vedevano Ayers alla chitarra ritmica, Allen al basso elettrico, Wyatt alla batteria e un chitarrista americano di nome Larry Nowlin conosciuto a Majorca. Per due mesi Wyatt suonò sia con i Wilde Flowers che con i Mister Head, e i repertori dei due gruppi comunque avevano brani in comune, le canzoni dei fratelli Hopper.

In estate i Mister Head si trasferiscono a Londra e nell’agosto del 1966 Mike Ratledge, da Oxford, raggiunge i suoi vecchi amici. A settembre Larry Nowlin abbandona il gruppo che si ritrova così ad essere un quartetto: Daevid Allen, chitarra e voce, Kevin Ayers, basso e voce, Mike Ratledge, organo e Robert Wyatt batteria e voce.

Decisi a cambiare nome alla band, la scelta cade sul titolo di un libro di William Borroughs (autore con il quale Daevid aveva collaborato sia a Parigi che a Londra), The Soft Machine[21].

La nascita ufficiale dei Soft Machine avviene in un momento topico per la musica rock in Inghilterra e anche negli U.S.A. A fianco dei Beatles e dei Rolling Stones c’è una marea crescente di gruppi che infiammano le platee giovanili, e negli U.S.A. l’invasione britannica ha prodotto tutta una serie di gruppi come Jefferson Airplane e Grateful Dead che rielaborano a loro modo le idee musicali provenienti da Londra.

Ma è un momento particolare anche perché il rock inizia a mutare pelle; il brano di due o tre minuti non è più sufficiente ad esprimere le innumerevoli idee dei musicisti e, grazie anche a un uso frequente di droghe, esplode la psichedelia, una musica intensa, sperimentale, ricca di soluzioni prima inesplorate, con suoni distorti e lunghe improvvisazioni, soprattutto dal vivo. Questa musica si collega immediatamente al mondo underground della controcultura londinese e si assisterà a memorabili concerti ed eventi all’UFO Club dove il palco sarà condiviso da decine di gruppi psichedelici e rock, insieme a situazioni più sperimentali (gli AMM di Rowe e Cardew divideranno spesso la serata con Pink Floyd e Soft Machine). 

Da qui le strade della piccola comunità di Wellington House cominciano a disperdersi e, come annunciato nell’introduzione, cercheremo di seguirne le vicende non gruppo per gruppo ma tenendo insieme, per l’appunto, i musicisti che condividevano lo stesso approccio alla musica. 

Nel febbraio del 1967 i Soft Machine pubblicano il loro primo (e unico) singolo per la Polydor, Loves Makes Sweet Music/Feelin’, Reelin’, Squeelin’, prodotto dall’americano Kim Fowley.

Qualche mese più tardi, con Giorgio Gomelski come produttore, registrano una serie di demo che però vengono pubblicati su disco solo nel 1971.

Jet – Propelled Photographs avrebbe dovuto essere il primo Lp per i Soft Machine, ma fortunatamente le registrazioni rimasero nel cassetto e vennero pubblicate, come detto, solo alcuni anni dopo. La musica è effettivamente lontana da ciò che erano, e che saranno, i Softs: “their performing energy, the predominance of improvisation and their hybridization of disparate musical styles are conspicuous by being almost totally absent from the demos”[22]. Infatti, il disco risulterà “a series of anaemic pop singles[23], e giustamente osteggiato dai musicisti. Significativa appare la scelta dei brani, con la scelta di tre canzoni di Hugh Hopper che all’epoca non faceva parte del gruppo.

Intanto i Soft Machine erano diventati una delle attrazioni più importanti della scena londinese. Una serie di concerti a fianco dei Pink Floyd avevano portato i quattro musicisti di Canterbury sull’onda del successo ed erano considerati uno dei gruppi più interessanti della musica psichedelica, soprattutto dopo la partecipazione al più importante evento musicale dell’anno, il 14th Hour Technicolour Dream, un concerto tenuto per sostenere il magazine alternativo International Times.

Nel frattempo, la Gran Bretagna, come detto, pullulava di gruppi rock, e c’era una frequente mobilità di musicisti tra un gruppo e l’altro e anche di differenti generi musicali. A fine 1966 un giovane chitarrista di nome Phil Miller forma la sua prima band -  Bruno’s Blues Band poi Delivery - con suo fratello, il tastierista Steve Miller e un suo amico di infanzia, il batterista Pip Pyle. Steve Miller aveva già suonato in diversi gruppi blues e la musica del gruppo è a cavallo tra il beat e il classico rock blues di quegl’anni. Nel 1967 il primo bassista viene sostituito da Roy Babbington e, tramite conoscenze con le sue prime esperienze blues, Steve Miller chiama il sassofonista Lol Coxhill a far parte del gruppo.

Sempre nel sottobosco psichedelico londinese, in quegli anni dalle ceneri degli Uriel, con Dave Stewart all’organo, Steve Hillage alla chitarra, Mont Campbell al basso e Clive Brooks alla batteria, nascono gli Egg, semplicemente gli stessi componenti escluso Steve Hillage che comunque collaborerà saltuariamente. Musica elaborata, tra virtuosismo e citazioni classiche, gli Egg non riscuotono particolare successo, ma i musicisti saranno parte fondamentale della scena canterburiana successivamente. Da notare, nella musica degli Egg, un uso ampio di tempi dispari e, nei testi di Mont Campbell, un tipico british sense of humour.

A Canterbury invece i Wilde Flowers proseguono a suonare, ovviamente con una diversa line up. Al posto di Robert Wyatt alla voce c’è Pye Hastings, che prima suonava occasionalmente la chitarra e si trova così ad essere al centro della scena[24]. Alla batteria c’è Richard Coughlan, anche lui già utilizzato occasionalmente nel gruppo.

Hugh decide di passare al sassofono contralto e, con il fratello Brian al tenore e soprano, provano a costituire una tipica sezione fiati per una musica certamente più vicina al soul e al rhythm’n’blues di quanto non lo fosse prima. Per sostituire il basso Richard Sinclair chiama suo cugino Dave (anche lui studente alla Simon Langton ma più piccolo di Robert Wyatt e Hugh Hopper) che, dopo un paio di prove abbandona in favore di un organo. 

Ma il gruppo ormai aveva perso le sue ambizioni e per tutto il 1967 continuò a suonare solo a Canterbury e dintorni.

Tutt’altra energia si respirava dalle parti dei Soft Machine. Dopo i successi londinesi, nell’estate del 1967 i Softs sbarcano in Francia per una serie di concerti e performance teatrali d’avanguardia.   Al ritorno in Gran Bretagna Daevid Allen viene fermato alla frontiera a causa del visto scaduto e costretto a rimanere in Francia. Così, improvvisamente i Soft Machine diventano un trio, almeno per il momento.

Ad allontanare Daevid fu chiaramente un problema burocratico, ma comunque erano sorti, proprio in quella tournée, una serie di dissidi dovuti alla poca capacità tecnica di suonare di Allen.

Dopo l’ultimo concerto “Robert angrily confronted me…. he said he was embarrassed to be musically associated with me”[25]. Daevid così tornò a Parigi e da lì ripartirà la sua avventura, musicale e no.

L’inizio del 1968 porta i Soft Machine in tournée negli Stati Uniti per tre mesi con Jimi Hendrix, dato che i manager erano gli stessi.

Contemporaneamente, a Canterbury, si sciolgono i Wilde Flowers e nascono, dalle loro ceneri, i Caravan: Pye Hastings, chitarra e voce, Dave Sinclair, organo, Richard Sinclair, basso e voce, Richard Coughlan, batteria. Tutti i membri dei Wilde Flowers, eccetto i fratelli Hopper, con Brian che prova a formare altri gruppi senza alcun successo e Hugh addirittura nelle vesti di road manager per la tournée americana dei Softs.

Nei tre mesi negli Stati Uniti i Soft Machine registrano finalmente il loro primo album, della cui produzione, peraltro, soprattutto Kevin Ayers non fu per nulla soddisfatto.

Diviso in tre suites, The Soft Machine è considerato uno dei dischi più importanti della storia del rock progressive inglese, “a true fusion of rock, jazz and psychedelia of the highest calibre”[26]. In forma ancora embrionale e approssimativa, già troviamo alcuni degli aspetti fondamentali della scena di Canterbury: la forma suite, le improvvisazioni dal vago sapore jazzistico, ovviamente le famose pop songs, qui predominanti, l’ironia e il non-sense. Un lavoro che tuttavia non riflette ancora ciò che la band suona dal vivo, e cioè quell’energia incredibile, che li porta a mantenere la line up a tre (come Jimi Hendrix) e le lunghe improvvisazioni che caratterizzano le loro esibizioni live.

Nel maggio del 1968 i Soft Machine ripartono in tournée per gli U.S.A., sempre a fianco di Hendrix, e con un nuovo membro, il chitarrista Andy Summers, poi nei Police. Dopo due mesi, lascerà il gruppo.

Ma la nuova tournée americana provoca ulteriori problemi all’interno del gruppo, sia musicali, tra Mike Ratledge e Kevin Ayers, con il primo più deciso su improvvisazioni e sperimentazioni mentre il secondo più orientato sul pop, sia di gestione nervosa e logistica dei componenti. Wyatt rimane per un po’ negli Stati Uniti, mentre Kevin Ayers, stressato da mesi di tournée e con sempre maggiori divergenze sulle direttive musicali della band, decide di partire per Ibiza e quindi di abbandonare il gruppo. A sostituirlo viene chiamato, naturalmente diremmo, Hugh Hopper, che proprio da poco aveva venduto il suo basso (sic)[27].

A Parigi Daevid Allen, con la sua compagna Gilli Smith e altri musicisti, forma una specie di collettivo musicale dedito a sperimentazioni sonore ed altro chiamato Gong. Con questa line up non ben definita a marzo del 1968 i Gong vengono chiamati a suonare al Museum of Modern Art di Stoccolma insieme a Don Cherry.

Daevid partecipa anche agli scontri tra studenti e polizia nel maggio ’68 a Parigi e, più in generale, rimane molto attivo nell’ambito culturale, partecipando a performances con il Living Theatre, ad eventi poetici e teatrali e, chiaramente, anche suonando.

A fine ’68 anche i Caravan iniziano le registrazioni per il loro primo album, dopo una serie di brillanti concerti tenuti a Canterbury e Londra (in un’occasione si esibiscono a fianco del Chris McGregor Sextet!). L’album, dal titolo Caravan, esce nel gennaio 1969 per la MGM/Verve e, nonostante le aspettative, non ottiene molto successo.

Certamente più orientato sul versante pop rispetto al primo disco dei “cugini” Soft Machine e con chiare influenze beat e psichedeliche, Caravan tuttavia mostra già alcuni segni delle future evoluzioni, prima fra tutte la suite presente alla fine del disco, Where but for Caravan would I, scritta tra l’altro in parte da Brian Hopper e tipico esempio di collage di brani inseriti all’interno di una forma suite per l’appunto.  

Nell’estate del 1969 Robert Wyatt, Hugh Hopper e Mike Ratledge partecipano alle session per Joy of a Toy, uscito per la Harvest a novembre dello stesso anno, il primo Lp di Kevin Ayers definitivamente ripresosi dallo stress e sicuro ormai ad andare avanti con una carriera solista.

L’album è ricco di splendide canzoni, anche qui con chiari segnali “canterburiani” che vanno dai testi a volte surreali ed autoironici ad atmosfere macchiate da jazz e spunti sperimentali, con gli arrangiamenti del compositore d’avanguardia David Bedford.

A settembre del 1969 esce, invece, il secondo Lp dei Softs, Volume Two, con la partecipazione di Brian Hopper al sassofono. Con un magistrale equilibrio tra sperimentazione e pop, virtuosismo e nonsense, cenni jazz e autentico spirito rock, questo lavoro rimarrà per certi versi unico nella loro storia.

Ma a ottobre avviene una grande trasformazione in seno ai Soft Machine: al posto del sassofono di Brian Hopper viene ingaggiata una vera e propria sezione fiati, quella del pianista jazz inglese Keith Tippett. Elton Dean, sax contralto e saxello, Lyn Dobson, sassofoni e flauto, Marc Charig, cornetta, Nick Evans, trombone sono i 4 jazzisti che entrano a far parte stabilmente nel gruppo anche se alla fine solo Elton Dean rimarrà per alcuni anni. Secondo Mike Ratledge “l’idea di allargare il gruppo nacque dal fatto che scrivevamo sempre di più – passavamo più tempo a comporre che a suonare – e ci toccava ridimensionare ogni volta le nostre partiture perché tre persone non possono fare più di tanto[28].

Questa formazione, ovviamente, non avrà vita lunga, anche per le difficoltà di amplificazione durante i concerti, ma registrerà il famoso terzo Lp dei Softs.

Third esce nel giugno del 1970 e i Soft Machine da due mesi sono diventati definitivamente un quartetto, con il solo Elton Dean rimasto nel gruppo.

Il disco, a detta di pubblico e critica, rappresenta l’apice della creatività del gruppo; quattro brani su quattro facciate, uno composto da Robert Wyatt - e suonato quasi interamente da solo, la famosa Moon in June - uno da Hugh Hopper e due da Mike Ratledge. Il sound ora è nettamente più orientato verso il jazz rock e la sperimentazione, il minimalismo di Terry Riley e certe atmosfere alla Frank Zappa. Soprattutto è in netta minoranza l’elemento pop, e anche il solo cantato, per dirla tutta, è limitato al famoso brano suonato in gran parte dal solo Robert Wyatt, Moon in June, preludio alla separazione che avverrà poco tempo dopo.

Anche gli altri membri della compagnia continuano le loro attività. Daevid Allen riesce alla fine a consolidare una line up per i suoi Gong, con Didier Malherbe al sassofono contralto e al flauto, la sua compagna Gilli Smyth al sussurro spaziale (sic), Christian Tritsch alla chitarra e al basso, Rachid Houari alla batteria, e comincia a registrare il suo primo Lp - sarà a nome Daevid Allen e Gilli Smith, poi ristampato a nome Gong - che uscirà nel marzo del 1970 in Francia, Magick Brother.

I Caravan faranno uscire nel settembre del ‘70 il loro secondo album, If I Could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You, nel quale partecipa, come ospite, il fratello di Pye Hastings, Jimmy Hastings, flautista e sassofonista. Lunghe suite, improvvisazioni jazzistiche e brani pop tra atmosfere morbide e accelerazioni distorte. Preludio al loro capolavoro, In the land of grey and pink , uscito nell’aprile del 1971 e considerato, appunto, il loro miglior album, sicuramente uno dei dischi fondamentali della scena di Canterbury e del rock inglese in generale. Un’intera facciata occupata da una suite mentre l’altra ha quattro tipiche pop songs in stile Caravan. E’ un lavoro nel quale tutti gli elementi musicali canterburiani sono fusi alla perfezione, dalle catchy pop songs alle improvvisazioni tematiche, il tocco jazz di Jimmy Hastings unito a linee tematiche dal sapore agreste, la morbidezza alternata ad elementi vigorosi  e incalzanti, incastonati all’interno di un’estetica dai richiami fantasy.

Ma questo periodo vede il fiorire di produzioni discografiche e concerti dei gruppi canterburiani in una sorta di crescendo.

Kevin Ayers forma un suo gruppo stabile, il Whole World Band. Con un giovanissimo Mike Oldfield alla chitarra elettrica e al basso, Mick Fincher alla batteria, sempre David Bedford al piano e agli arrangiamenti, Lol Coxhill, esponente della scena improvvisativa inglese, già membro dei Delivery e sorta di “nomade” musicale al sassofono, il gruppo registra Shooting at the moon.

L'album alterna alcune tra le migliori canzoni di Ayers - May I?, Clarence in Wonderland, Red green and you blue - a lunghe esplorazioni strumentali - Pisser dans un violon, Underwater. Il brano Shooting at the moon è una riproposizione della vecchia Jet Propelled Photograph, che faceva parte dei demo registrati nel 1967 con i Soft.

Il 1970, nonostante la morte di Hendrix e Joplin, è un anno eccezionale per le musiche giovanili, soprattutto in ambito rock ovviamente, ma non deve essere trascurato l’enorme successo del Miles Davis di Bitches brew, uscito proprio nell’aprile di quell’anno, e che aprirà il fecondo filone del jazz rock. In questo fermento i musicisti di Canterbury sembrano trovarsi a proprio agio recitando, nel caso soprattutto dei Soft Machine, un ruolo di primo piano sia in ambito propriamente pop rock che anche in quello jazzistico, con la pubblicazione di Third.

E proprio al jazz, suo primo amore, che Wyatt prova a fare riferimento con il suo primo lavoro solista, The end of an ear, pubblicato nel dicembre del ‘70.

La registrazione di Third aveva lasciato una serie di tensioni all’interno dei Soft Machine con Wyatt che si sentiva isolato dal gruppo[29]. Decide così di registrare un album dove potersi liberamente esprimere e mettere a frutto tutta una serie di idee e suggestioni derivate dalle numerose frequentazioni con musicisti di estrazione jazzistica.

In realtà, anche qui, il jazz è fonte di ispirazione ma l’approccio è decisamente libero da cliché e confini prestabiliti, una sorta di “innovative mix of free jazz, rock and avant-garde music with liberal use of his signature vocal experiment[30]. Importanti sono i musicisti che partecipano alla registrazione, con Elton Dean troviamo un David Sinclair all’organo, membro dei Caravan e musicista non proprio vicino ad ambiti sperimentali e/o jazzistici, e i dedicatarii dei brani del disco, che in realtà sono proprio la famosa scena di Canterbury: To Caravan and brother Jim (Caravan e Jimmy Hastings), To the old world (The Whole World, il gruppo di Kevin Ayers con il quale Wyatt in questo periodo talvolta suona), To Oz alien Daevyd, and Gilli Smyth (David Allen e Gilli Smyth), più una serie di dediche a personaggi come Nick Evans, Carla Bley, il fratello maggiore Mark, che suona il piano nel disco e una riproposizione, in versione molto libera, di Las Vegas tango di Gil Evans.

Con l’uscita di Bitches brew, Third, Elastic rock dei Nucleus di Ian Carr, la commistione tra jazz e rock incontra il favore del pubblico e dei musicisti, su entrambi le sponde, sia quella jazz che quella rock. E’ soprattutto in Inghilterra, e a Londra, che l’incontro tra jazzisti e rockers, pur se anomali e sperimentali, produce una serie di progetti e lavori di notevole interesse, segnando ancora di più le vicende e le musiche dei canterburiani, che di questi incontri ne saranno i protagonisti, soprattutto dal lato Soft Machine.

E’ di questi anni l’esperimento Centipede portato avanti da Keith Tippett, pianista jazz al quale i Soft Machine avevano preso la sezione fiati del suo sestetto, una mega orchestra di 50 elementi con all’interno jazzisti sudafricani e inglesi, musicisti della scena blues londinese e di estrazione classica (soprattutto violini e violoncelli), Robert Wyatt ed Elton Dean. L’album Septober energy, uscito nell’ottobre del ’71, rappresenta per certi versi l’utopia di una musica totale priva di barriere ed inclusiva, con all’interno suggestioni free, ritmi africani ed estetiche radicali. E’ un esperimento che non avrà lunga vita, ma influenzerà una parte dell’ambiente londinese, tra cui ovviamente i musicisti di Canterbury e anche altri esponenti del progressive inglese, primi fra tutti i King Crimson, non a caso Robert Fripp appare come produttore del disco.

Lo stesso Keith Tippett continuerà questa sua commistione con i Soft Machine registrando un album del suo gruppo con il titolo di un brano di Hugh Hopper, Dedicated to you, but you weren’t listening, con all’interno una versione stravolta del brano e Robert Wyatt presente in alcuni brani alla batteria.

Quest’ultimo è certamente l’elemento più “vivace” di tutta la scena perché avvia una serie di collaborazioni al confine tra jazz e rock, con il sassofonista Gary Windo, con Trevor Watts e John Stevens, registrando un nuovo disco di Daevid Allen (Banana moon, dove c’è anche una versione di Memories di Hugh Hopper) e collaborando al nuovo album di Kevin Ayers - Whatevershebringswesing, uscito nel gennaio 1972.

Ma l’elenco delle collaborazioni di Wyatt è lunghissimo e va da alcuni concerti dei Gong (con anche Kevin Ayers in formazione) a Paul Bley, Gary Burton e Terje Rypdal, Mongezi Feza e Dudu Pukwana.  

Queste sue numerose collaborazioni sono anche il sintomo di una situazione difficile che Wyatt vive all’interno dei Soft Machine, dove è ormai in minoranza rispetto all’asse Ratledge-Hopper, sempre più orientati verso una musica strumentale, vicina più al jazz rock che alla psichedelia o al pop seppur stralunato dei primi tempi. Il quarto Lp dei Softs - Fourth, pubblicato nel gennaio del ’71 - vede la presenza di Wyatt solo alla batteria e, per la prima volta nel gruppo, nessun brano cantato. Peraltro, la musica effettivamente vira verso altri lidi, caratterizzata da “brevity of thematic materials, and a greater emphasis on improvisation[31]. È l’ultimo atto prima della definitiva separazione: Robert Wyatt lascia il gruppo e si avvia a formare un nuovo progetto che comunque richiamerà, nel nome, proprio i Softs.

I Matching Mole, omofonia con l’ironica traduzione francese di Soft Machine, Machine Molle, si formano nel ’71, contemporaneamente al primo cambio di formazione dei Caravan. Quasi in una sorta di cammino parallelo, anche il gruppo fin lì più stabile della scena di Canterbury, dopo il successo del loro terzo album In the land of grey and pink, così come era successo dopo Third dei Soft Machine, entrano in crisi e nell’agosto del ’71 l’organista David Sinclair che aveva collaborato con Wyatt in The end of an ear, lascia i Caravan ed entra a far parte del nuovo progetto Matching Mole.

E continuando con i parallelismi, a sostituire Sinclair nei Caravan subentra Steve Miller, già nei Delivery e fratello del chitarrista Phil Miller, anche lui nei Matching Mole. È questo il periodo dove le strade cominciano a separarsi ma anche ad intrecciarsi in modo curioso. I Delivery, oltre a “fornire” i fratelli Miller daranno il batterista Laurie Allan (che aveva rimpiazzato Pip Pyle) ai Gong e, come abbiamo visto, Lol Coxhill ai Whole World Band di Kevin Ayers.

Con l’album Matching Mole, uscito nell’aprile del 1972, Robert Wyatt ritorna, anche se solo in parte naturalmente, a quel mix surreale di jazz, rock, pop e sperimentalismo tipico dei primi Softs, ma con un’attenzione maggiore all’improvvisazione, soprattutto da parte di Phil Miller. La presenza di un brano pop come O Caroline, scritta da Wyatt e Sinclair, riporta un po’ alle atmosfere alla Kevin Ayers o alla Caravan, sicuramente è il marchio di fabbrica del Canterbury sound, le famose catchy pop songs unite a sperimentazioni e improvvisazioni.

Un mese dopo esce il quarto Lp dei Caravan - Waterloo Lily - il primo con Steve Miller al posto di David Sinclair e, in qualità di ospiti Lol Coxhill e Phil Miller. Anche qui, e vorremmo dire che a questo punto non è una casualità ma forse reciproca influenza e trend del momento, c’è un maggiore spazio per l’improvvisazione e un sound più vicino alla fusion, con la presenza di Steve Miller al piano.

A giugno esce Fifth dei Soft Machine, ed ormai il gruppo è inserito in pieno nel filone jazz rock, con il suono del fender rhodes a sostituire spesso l’organo e la presenza, in alcuni brani, di un jazzista come Phil Howard alla batteria (che comunque verrà sostituito da John Marshall proprio perché, per Hopper e Ratledge, troppo jazzista).

Ma, si diceva sopra, è una fase di separazioni e intrecci che rende difficile la narrazione cronologica ma arricchisce lo spettro musicale. Elton Dean abbandona i Softs nel maggio del ’72 e, a questo punto, dei Soft Machine “canterburiani” rimane ben poco, se non il nome.

I fratelli Miller lasciano e riprendono più volte i Delivery con le presenze di Richard Sinclair, che nel frattempo aveva lasciato i Caravan, David Sinclair, che aveva lasciato i Matching Mole, Lol Coxhill, Pip Pyle, Roy Babbington (contrabbassista in Fourth dei Soft Machine e sostituto di Hugh Hopper successivamente), addirittura Didier Malherbe dei Gong come ospite in un concerto, fino ad arrivare alla costituzione di un nuovo gruppo, gli Hatfield and the North.

A fine ’72 esce il secondo (e ultimo) disco dei Matching Mole, Little red record, con David MacRae al piano elettrico ad indirizzare il sound verso la fusion, ma con il solito mix di jazz, sperimentazioni e rock ad arricchire un lavoro comunque innovativo e convincente.

Da segnalare la presenza, come ospite, di Brian Eno al sintetizzatore e la produzione di Robert Fripp.

In questo ricchissimo 1972 cominciano anche le registrazioni del primo Lp solista di Hugh Hopper, 1984 (uscito poi nel 1973), autentico lavoro sperimentale dove il bassista dei Softs elabora e sviluppa la sua passione per i tape loops appresa anni prima da Terry Riley in compagnia di Daevid Allen. L’elenco dei musicisti che partecipano alla registrazione è eloquente e oggettivamente esplicativo di ciò che si definisce scena di Canterbury: Pye Hastings, Lol Coxhill, Gary Windo, John Marshall, Malcom Griffiths, Nick Evans.

Abbiamo lasciato, nella nostra narrazione, le vicende di Daevid Allen e del suo progetto Gong. In un turbinio di cambiamenti di formazioni, concerti e tour in giro per l’Europa, progetti solistici e apparizioni in altri contesti, collaborazioni e fughe a Majorca, Daevid Allen e i suoi Gong pubblicano (anche se all’inizio solo in Francia) il loro primo lp Camembert electrique, sorta di patchwork psichedelico che dà avvio al mondo fantastico del pianeta Gong, con incursioni jazzistiche, psichedelia, space rock e l’insostituibile follia di Allen che dà una fortissima impronta al disco e al gruppo in generale. Alla batteria un Pip Pyle che subito dopo abbandonerà il gruppo lasciando il posto a Laurie Allan e al sassofono e flauto Didier Malherbe, anche lui tratto distintivo del sound del gruppo.

Il 1973 e il 1974 sono anni decisivi per le vicende dei nostri musicisti. I due gruppi storici della scena di Canterbury, Soft Machine e Caravan, sono in netta crisi e, con continui cambi di formazione, producono una serie di album lontani dalle atmosfere e dalla creatività dei primi anni. Possiamo dire che, al di là del nome, effettivamente la musica di Six (con Karl Jenkins, dai Nucleus, al posto di Elton Dean) e Seven (con Roy Babbington al posto di Hugh Hopper) dei Soft Machine non ha più quegli elementi tipici della scena di Canterbury. Così come For girls who grow plump in the night (senza Richard Sinclair e i fratelli Miller, ma con David Sinclair di nuovo all’organo) e Caravan and the New Simphonia (live con un’orchestra classica) dei Caravan sono, anch’essi, lontani da quel mix surreale di jazz, rock, sperimentalismo e pop songs tipico della musica canterburiana.

Chi seguita a proporre, con slancio e genialità, il fascino di quel sound è Daevid Allen con i suoi Gong. Tra il ’73 e il ’74 il gruppo pubblicherà la famosa trilogia di Radio Gnome, composta da Flying teapot, Angel’s egg e You.

Stabilizzata la formazione con l’arrivo del chitarrista Steve Hillage (ma anche con il solito cambio di batteristi, Laurie Allan poi Pierre Moerlen), i Gong costituiscono il versante più psichedelico della scena di Canterbury. La genialità di Allen viene accompagnata ora da un nucleo di musicisti validi tecnicamente ed in grado di far volare il pianeta Gong nei meandri di una musica sognante eppur ironica e dissacrante, con larghi spazi all’improvvisazione sia di matrice jazzistica ed etnica che rock.  E la costruzione testuale di una mitologia fantastica comprensiva di folletti, teiere volanti e pianeti lontani rende la trilogia gonghiana un unicum all’interno della storia del rock. Purtroppo, Allen è personaggio troppo lontano dallo star system e troppo instabile per mantenere in piedi un gruppo comunque giunto ora ad una sua pur modesta notorietà. Ed è vero anche che questa musica arriva forse troppo tardi, in un momento in cui le utopie della summer of love sono in fase discendente sostituite da esteriorità, glamour, snobismo e una frammentazione[32] che nuoce e ghettizza proprio quelle musiche prive di confini certi, stabili.

E’ da qui che i musicisti di Canterbury, prima pionieri e star del momento, iniziano la loro parabola discendente anche se solo dal punto di vista commerciale e non ancora da quello creativo. In ogni caso, come i Soft Machine e i Caravan, anche i Gong entrano in crisi con l’abbandono del gruppo da parte di Daevid Allen e della sua compagna Gilli Smyth. Gruppo che finisce nelle mani del batterista e percussionista Pierre Morlen e che si inserirà (anche loro!) in pieno nello “scaffale“, certamente più comodo e catalogabile, del jazz rock.

Ma, dicevamo, il 1973 è un anno fondamentale per la scena di Canterbury. Nel giugno di quell’anno Robert Wyatt, dopo aver fatto uso di una grande quantità di alcool, durante una festa cade dal quarto piano e perde definitivamente l’uso delle gambe. E’ la fine del Wyatt batterista, ma è l’inizio di una carriera, come cantante e compositore, eccezionale. 

Il 1974 vede una serie di concerti e uscite discografiche che tengono ancora alta l’estetica canterburiana, ormai priva dei gruppi più famosi perché “confluiti” in altri generi o semplicemente in crisi di creatività. Kevin Ayers e Robert Wyatt sono i responsabili di due importanti concerti tenutisi a Londra, uno il primo giugno e l’altro l’8 settembre dello stesso anno, ambedue pubblicati su disco. Il primo è a nome Kevin Ayers, John Cale, Nico, Brian Eno ed è un concerto che vede la presenza anche di Wyatt e Mike Oldfield, ormai divenuto famoso con il suo Tubolar Bells. Una sorta di supergruppo che comunque non ebbe nessun seguito ma che mostra la capacità di Ayers di “colorare” la sua musica con musicisti di grande prestigio.

L’altro concerto è a nome di Robert Wyatt e vede la partecipazione di numerosi musicisti legati alla scena di Canterbury o comunque ad essa vicini: Hugh Hopper, Dave Stewart, Gary Windo, Laurie Allan, Mongezi Feza, Nick Mason, Fred Frith, Julie Tippetts, Mike Oldfield e Ivor Cutler. Un concerto eccezionale uscito su cd solo qualche anno fa e che vede un Wyatt stellare alla voce, accompagnato da una formazione di autentici fuoriclasse.

Nella scaletta ci sono brani che sarebbero usciti di lì a poco su disco e che appartengono a storie passate e nuovi gruppi. Memories, di Hugh Hopper, esce direttamente dall’archivio Wilde Flowers, mentre Calyx è il nuovo brano manifesto di Canterbury scritto da Phil Miller per gli Hatfield and the North. Ma ci sono anche molte canzoni dal capolavoro solista di Wyatt, Rock bottom così come brani dei Matching Mole.

È come se, ora, la vecchia Canterbury avesse lasciato il posto ad una nuova, meno arrembante ma più matura, riflessiva. E’ il momento delle collaborazioni, della costante ricerca del progetto nuovo vincente ma comunque fedele alla vecchia estetica, perciò indisponibile a compromessi.

Sempre nel 1974, ripresosi dall’incidente (anche grazie all’aiuto di moltissimi musicisti a lui vicini), Wyatt incide il bellissimo Rock bottom, opera introspettiva e pacata, difficilmente classificabile, dentro e allo stesso tempo fuori dal sound canterburiano. L’elenco dei musicisti è comunque significativo: Richard Sinclair e Hugh Hopper, Laurie Allan, Fred Frith, Gary Windo, Mongezi Feza. 

Nello stesso anno esce il primo album degli Hatfield and the North, il gruppo che raccoglie un po’ le eredità dei gruppi storici di Canterbury, soprattutto i Caravan. Li avevamo visti alle prese con diversi cambi di formazione (ma questa sarà una costante di tutta la scena di Canterbury, in particolare per gli ultimi gruppi), ora con Richard Sinclair al basso, Pip Pyle alla batteria, Phil Miller alla chitarra e Dave Stewart (dagli Egg) all’organo e al Fender Rhodes, gli Hatfield pubblicano Hatfield and the North. Il disco è arricchito dalla presenza di Wyatt (alla voce nella stupenda Calyx di Phil Miller), Geoff Leigh degli Henry Cow ai fiati, Didier Malherbe dei Gong al sax tenore, il solito Jimmy Hastings al flauto e un trio di coriste, le Northettes, composto da Barbara Gaskin, Amanda Parsons e Ann Rosenthal. Musica complessa, ricercata, con ampia predominanza di parti strumentali, corredata da tempi dispari e momenti virtuosistici. Le atmosfere sono adesso più vicine all’estetica progressive, eppure il sound canterburiano è inequivocabile, dovuto sia ai componenti, gli stessi ormai da anni, sia alle bizzarrie e alle sperimentazioni che ne fanno, dell’album, un piccolo capolavoro di sintesi.

L’anno successivo è la volta di The rotter’s club, registrato dalla stessa formazione e con ospiti Lindasy Cooper al fagotto, Tim Hodgkinson al clarinetto (entrambi membri degli Henry Cow), Mont Campbell al corno francese (dagli Egg, come Dave Stewart), Jimmy Hastings ai fiati (as usual!) e le Northethess alle voci. Con un’intera suite nella seconda facciata e una serie di brani sulla prima, tra cui un gioiello pop come Share it di Richard Sinclair, il disco ripercorre gli stilemi del precedente: è musica elegante e ricercata, di complessa ed elaborata fattura.

Ma il successo non arriva, forse è musica troppo ricercata, difficile da catalogare, e il rock è alle soglie di una nuova rivoluzione. Richard Sinclair abbandona e il gruppo si scioglie.

Siamo alla fine delle nostre storie. Robert Wyatt ha ormai intrapreso una brillante carriera solista e pubblica Ruth is stranger than Richard, solito mix di jazz, songs e sperimentazioni varie che caratterizzano un suo vero e proprio stile, con chiari riferimenti a Canterbury (nel disco è presente, con il nome Soup song, un rifacimento di Slow walkin’talk di Brian Hopper, suonata ai tempi dei Wilde Flowers).

Anche Kevin Ayers continua la sua carriera solista pubblicando una serie di lavori ancora validi (Bananamour, The confessions of dr. Dream and other stories) e collaborando con diversi musicisti ma ormai la vena creativa sembra agli sgoccioli e del sound di Canterbury non rimane quasi nulla. Così come per i Soft Machine, orfani di Hugh Hopper e poi anche di Mike Ratledge, ovvero due dei fondatori del gruppo, o per i Caravan e i Gong, la musica è lontana da quel mix surreale canterburiano di cui rimane solo il nome e poco più. Resta da raccontare dell’ultimo gruppo che ancora tenta di coniugare jazz, rock, sperimentalismo e pop songs secondo le regole di Canterbury, i National Health.

Nati dalla fusione tra Hatfield and the North e Gilgamesh, l’idea di Dave Stewart e Alan Gowen (tastierista dei Gilgamesh, gruppo con il quale suonerà anche Hugh Hopper) era di costituire una vera e propria orchestra rock con due chitarre, due tastiere, tre voci femminili, un basso e una batteria. “Alan avrebbe dovuto suonare il piano elettrico e il sintetizzatore (su cui mostrava una sorprendente abilità nonostante non ne possedesse uno) ed io l’organo Hammond, il piano elettrico e il pianet. Avremmo dovuto comporre entrambi e il gruppo avrebbe cercato di miscelare la mia musica pesantemente arrangiata e scritta con i pezzi più improvvisativi di Alan[33]

Ma la formazione che arriva al primo album, National Health del 1977, è composta da Dave Stewart, Phil Miller, Neil Murray al basso e Pip Pyle alla batteria (all’inizio c’era Bill Bruford).

Consueto elenco di ospiti con il solito Jimmy Hastings al flauto e clarinetti, Alan Gowen al synth e al piano elettrico, Amanda Parsons alla voce. La musica è ancor più strutturata e complessa di quella degli Hatfield nonostante la formazione sia identica per tre quarti, ma manca il gusto pop di Richard Sinclair e la sua voce. C’è un grande uso di ritmi composti (cosa che comporterà, agli inizi, una enorme difficoltà nel trovare un batterista) ma anche una morbidezza che riporta il tutto al sound di Canterbury. In ogni caso siamo molto vicini al tipico progressive inglese e certamente ai confini delle atmosfere canterburiane.

Anche il secondo album, Of queues and cures pubblicato nel 1978, con John Greaves (dagli Henry Cow) al basso al posto di Neil Murray e come ospiti Jimmy Hastings (sic!) ai fiati e Phil Minton alla tromba ripercorre le stesse tracce del primo disco. Le atmosfere sono sempre molto elaborate e non c’è molto spazio per l’improvvisazione, ma siamo sempre lì, tra Canterbury e dintorni. Il problema è che il rock è stato investito dall’onda del punk e non c’è veramente più spazio per una musica raffinata, composta, ricercata. I National Health sono l’ultimo gruppo stabile che tenta di rinnovare le musiche di Canterbury, ma sono fuori tempo massimo. Nel 1980 si scioglieranno lasciando il testimone a diversi progetti solisti, collaborazioni, reunion, produzioni discografiche dei musicisti di Canterbury, in alcuni casi con successo ma nella maggior parte delle volte nelle pieghe del mercato discografico, di lato, spesso nascosti o ignorati.



[1] G. Bennett “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous” SAF Publishing Ltd, London, 2005, pag. 23

[2] Ibidem, pag. 26.

[3] Brian Hopper in “Falsi movimenti. Una storia di Robert Wyatt” di Michael King, Arcana Editrice, Milano, 1994, pag. 11.

[4] Ibidem pag. 11.

[5] “Tales of Canterbury. The Wilde Flowers Story. Brian’s tale” di Brian Hopper, Voiceprint, Durham, 1994. VPB123CD limited edition 0097 of 2000, pag.2

[6] B. Hopper in “Falsi movimenti”, cit.  pag.11 e anche “Tales of Canterbury. The Wilde Flowers Story. Brian’s Tale”, cit., pag.1

[7] B. Hopper in “Falsi movimenti. Una storia di Robert Wyatt”, cit. pag. 13

[8] G. Bennett “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pag. 27.

[9] R. Wyatt “Dalla viva voce”, a cura di Claudio Chianura e Leila Tartari, Auditorium Edizioni, Milano, 2009, pag. 79

[10] G. Bennett “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pag. 30

[11] M. King “Falsi movimenti”, cit., pag. 13

[12] Ibidem, pag. 13

[13] Mike Ratledge in “Falsi movimenti”, cit., pag. 14

[14] Kebin Ayers in “Falsi Movimenti”, cit., pag. 13

[15] M. King “Falsi Movimenti”, cit., pag. 16

[16] Mike Ratledge in “Falsi Movimenti”, cit., pag. 16

[17] G. Bennett, “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pp. 49 e 50.

[18] M. King “Falsi Movimenti”, cit., pp. 28 e 29

[19] Brian Hopper in M.King, “Falsi Movimenti”, cit., pag. 32

[20] M. King “Falsi Movimenti”, cit., pag. 32

[21] G. Bennett, “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pag. 74

[22] G. Bennett, “Soft Machine Out-Bloody-Rageous”, cit. pag. 107

[23] Ibid., pag. 107

[24] B. Hopper, “Tales of Canterbury. The Wilde Flowers Story”, cit., pag.12

[25] D. Allen, “Gong Dreaming 1. From Soft Machine to the birth of Gong”, SAF Publishing Ltd, London, 2007, pag. 62

[26] G. Bennett, “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pag. 140

[27] http://calyx.perso.neuf.fr/softmachine/index

[28] M. King, “Falsi Movimenti”, cit., pag. 71

[29] M. King “Falsi Movimenti”, cit., pag. 80

[30] G. Bennett, “Soft Machine. Out-Bloody-Rageous”, cit., pag. 213

[31] J. Wicks “Innovations in British Jazz, Volume one, 1960-1980”, Soundworld Publishers, Chelmsoford, 1999

[32] G. Castaldo “La terra promessa”, cit., pag. 203

[33] Dave Stewart “National Health. La storia segreta”, articolo su Musiche n.10 estate 1991, pag. 12

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