RACCONTI DI CANTERBURY
La storia e
le storie dei nostri protagonisti prendono avvio dalla Simon Langton Grammar
School for Boys di Canterbury. Tipica scuola secondaria inglese di una
cittadina di provincia, la Simon Langton “has
always been proud of being a traditional English school in a traditional
English town”[1], e,
come spesso accadeva e accade tutt’ora, oltre allo studio i circa 500 ragazzi
iscritti alla scuola erano incoraggiati a partecipare a numerose attività
organizzate all’interno come lo sport, il teatro, l’arte e ovviamente la
musica, con la presenza di un coro e di un’orchestra. “The fact that over a tenth of all
the school’s pupils partecipated in the choir is a good illustration of how
seriously Simon Langton took its music”[2].
Fu in questa
scuola che si incontrarono i fratelli Hopper, Robert Wyatt e Mike Ratledge.
Brian Hopper e Mike Ratledge, più grandi di due anni, cominciarono a suonare
insieme per il solo fatto che avevano ricevuto tutti e due un’istruzione
musicale classica, Mike al pianoforte e Brian al clarinetto[3].
“Registravamo e suonavamo insieme robe
completamente improvvisate, liberamente ispirate alla musica colta
contemporanea ma con riferimenti jazzistici sempre più marcati.”[4]
Brian ricorda il brano di Eric Dolphy 245
ma anche le cose che faceva il trombettista Don Ellis, l’album How Time Passes, “wich stimulated further ideas on the integration of 20th century
European serial music with unusual time signatures – a strong feature of latter
developments by ex – Wilde Flowers (il primo gruppo della scena di
Canterbury) musicians”[5].
Le loro
passioni non erano limitate solo alla musica ma anche alla fotografia, alla
poesia e ai primi esperimenti multimediali[6], in una sorta di ricerca a
tutto campo di un mondo differente da quello proposto dalla scuola,
dall’educazione famigliare e dal tipico conservatorismo cittadino ed inglese in
generale.
“I miei
primi contatti con Robert furono a scuola e fuori dalla scuola, a Wellington
House. Tutti noi ascoltavamo dischi di vario genere, soprattutto quelli che
avevano a che fare con il jazz moderno, o talvolta con il blues…ma soprattutto
con il jazz moderno”[7]. La
famiglia di Robert Ellidge (poi prese il cognome della madre, Wyatt) era una
famiglia di ampie vedute, progressista e culturalmente impegnata; madre
giornalista e padre psicologo industriale, professione che dovette abbandonare
a causa di una grave malattia.
Fu proprio
per le condizioni di salute di George Ellidge che Robert si trasferì con tutta
la famiglia in un piccolo villaggio a sud di Canterbury, in una casa grande e
confortevole, Wellington House, in grado di permettere al padre di Robert, su
una sedia a rotelle, di vivere i suoi ultimi anni in condizioni accettabili.
Honor Wyatt,
nel suo precedente matrimonio, aveva vissuto alcuni anni a Majorca perché era
amica del poeta Robert Graves e tale amicizia sarà importante per la crescita
di Robert. “More significantly for Robert’s future, George (Ellidge, il padre
naturalmente) loved music, playing piano
and listening to a surprisingly wide range of music. This included the modern
classical works of composers such as Shostakovich, Hindemith and Bartok, but
also opera and jazz”[8].
E grazie al
fratello maggiore, Mark Ellidge (figlio del precedente matrimonio di George),
che aveva una numerosa collezione di dischi[9], Robert divenne un vero
appassionato di jazz. Fu questo interesse a metterlo in contatto prima con il
suo compagno di classe Hugh Hopper, attratto all’inizio dal rock’n’roll, e poi
successivamente con Brian Hopper e Mike Ratledge. Quest’ultimo chiese in
prestito a Robert un disco di Cecil Taylor - At Newport: the Gigi Grice-Donald Byrd Jazz Laboratory and the Cecil
Taylor Quartet - pianista che Mike apprezzava molto e Robert ne fu onorato
visto che la richiesta proveniva da uno studente più grande di lui[10].
Così questo
gruppo di ragazzi iniziò ad incontrarsi anche fuori scuola, a casa di Robert,
la Wellington House, dove si ascoltava musica, si discuteva e si suonava, anzi
si improvvisava; Brian al clarinetto, talvolta alla chitarra, successivamente
al sax contralto, Hugh al basso, Mike al piano e Robert tutta una serie di
percussioni, tamburi, scatole di latta, persino una vecchia cornetta[11].
“Qualche settimana prima del Natale 1960 a Wellington House
venne accolto come pensionante un giovane beat australiano di nome Daevid Allen”[12],
arrivo che arricchì la compagnia di un elemento catalizzatore sia perché più
grande di tutti gli altri sia perché aveva già esperienze di concerti, letture
di poesie, presenze in compagnie teatrali di avanguardia, e anche un’ottima
collezione di dischi jazz. “ Daevid aveva
girato un po’ e la sua influenza fu decisiva in quel momento a Canterbury”[13], e con
la sua presenza Wellington House divenne una sorta di oasi culturale dove, come
testimonia Kevin Ayers, altro personaggio importante della nostra storia, “accadevano delle cose, le persone
discutevano e ricevevano un’istruzione e leggevano libri. E guardavano quadri e
ascoltavano musica. Io non facevo nulla di tutto ciò ma ero affascinato e
trovavo quelle persone davvero interessanti. Ma sì, Wellington House era come
un rifugio, era davvero come essere in un altro Paese”[14].
Fu grazie ad
un amico di Daevid Allen, il batterista jazz George Niedorf, che Robert Wyatt
iniziò ad avere lezioni di batteria e, in generale, le vaste conoscenze di
Daevid allargarono il background culturale dei ragazzi che frequentavano
Wellington House.
Comunque,
nel febbraio 1963 Hugh Hopper e Robert Wyatt si trasferirono per un po’ a
Londra invitati proprio da Daevid Allen, e lì formarono un trio di jazz e
poesia. “Per qualche mese l’appartamento
di Belsize Park si trasformò in una sala prove dove il Daevid Allen Trio
improvvisò e sperimentò, spesso insieme ad amici in visita”[15], tra i
quali Brian Hopper e Mike Ratledge che in quel periodo studiava all’università
a Oxford.
Secondo Mike
Ratledge il gruppo eseguiva standard jazzistici e pezzi di Daevid senza distinzioni,
“suonavamo senza curarci di cominciare
dal punto giusto. Probabilmente assomigliavamo in certi momenti a brutte copie
di Cecil Taylor e in certi altri a pessime imitazioni di Bill Evans”[16].
In ogni
caso, il cd pubblicato nel 1994, Daevid
Allen Trio. Live 1963 per la Voiceprint, di una serata al Marquee club reca
solo brani originali, quasi tutti di Daevid Allen, ed è una sorta di puzzle di
poesie recitate, sperimentazioni para jazzistiche, non-sense e humour. In un
brano c’è anche Mike Ratledge come ospite. Tutto sommato niente di
indimenticabile, però è già presente la voglia di sperimentare, di cercare
nuove forme espressive ancora non supportate, ovviamente, da esperienza e
tecnica strumentale.
L’esperienza
londinese finisce ben presto; Daevid va a Parigi, mentre in tempi differenti
Hugh e Robert tornano a Canterbury. Ma, come accennato prima, la vitalità e la
creatività di Allen agivano anche a centinaia di chilometri di distanza.
Infatti, a gennaio del 1964 Hugh raggiunge l’australiano per un breve periodo a
Parigi, e lì comincia i suoi primi esperimenti su tape loops, affascinato sia
da Daevid stesso che da un suo amico: Terry Riley.
Nel
frattempo, Robert si stabilisce per un po’ a Majorca, dall’amico di sua madre
il poeta Robert Graves, invitando anche Kevin Ayers. I due talvolta suonano
anche al locale Indigo Jazz Club di Palma de Mallorca. A fine estate del ’64
Daevid Allen li raggiunge portando con sé un drum kit, che qualcuno aveva lasciato
nel suo appartamento a Parigi, in regalo a Robert[17].
Intanto, in
Inghilterra esplode il fenomeno delle radio pirata - fino alla Pasqua del 1964
il sistema radiofonico era stato monopolio della BBC - che cominciano a
trasmettere per ore e ore la nuova musica giovanile che sulla BBC aveva uno
spazio limitatissimo. E così il rock dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who
diventa una musica di successo e di grande impatto per l’immaginario giovanile.
Impatto che avviene anche sui fratelli Hopper (Brian al sax e Hugh al basso),
che iniziano ad essere affascinati dai gruppi beat, rhythm’n’blues e
rock’n’roll dell’epoca. Così decidono anche loro di formare un gruppo beat.
Ingaggiano un giovane chitarrista che conosceva gli accordi delle canzoni dei
Beatles e poteva anche cantare, Richard Sinclair, e, con il ritorno a
Canterbury di Robert Wyatt (batteria e voce) e Kevin Ayers (voce e chitarra),
formano i Wild Flowers, mutati poi in Wilde Flowers su idea di Kevin per un
omaggio ad Oscar Wilde. Daevid Allen invece rimane a Majorca.
Questa volta
la base operativa si sposta nella casa dei genitori dei fratelli Hopper,
Tanglewood, che vede un susseguirsi di prove su prove per arrivare ad avere un
repertorio abbastanza vario e soprattutto in grado di far ballare i giovani dal
vivo. Accanto a brani di Chuck Berry, Beatles, Rolling Stones, Who, James
Brown, Wilson Pickett, Otis Redding, Bob Dylan trovano posto, nella scaletta
dei Wilde Flowers anche alcuni brani di Cannonball Adderley, Monk, Coltrane e
Ellington[18].
Tuttavia,
chiara appare la matrice di gruppo beat con vocazione al ballo e al
divertimento, al servizio di platee giovanili nei piccoli club della provincia
inglese. Confrontata con l’esperienza del Daevid Allen Trio di qualche anno
prima, netta appare la differenza sia di intenti che di scelte musicali: dalle
sperimentazioni free immerse nel sottobosco della controcultura londinese alla
ricerca del successo e dell’emulazione verso i più famosi gruppi beat e
rhythm’n’blues dell’epoca. Ma i primi
esperimenti, le discussioni e gli ascolti fatti a Wellington House avevano
comunque lasciato il segno, tanto da affiancare alle cover di brani famosi un
crescente numero di composizioni originali, frutto anche della moda dell’epoca:
con il successo dei Beatles moltissimi gruppi iniziarono a scrivere materiale
originale.
Nel cd,
uscito nel 1994 per Voiceprint - The
Wilde Flowers - ci sono una serie di provini fatti con formazioni
differenti e in anni diversi, ma sono chiare subito alcune cose: innanzitutto
la vena creativa di Hugh Hopper, che compone quasi tutto il materiale
registrato e, nel caso di Memories e It’s what I feel (A certain kind), sono brani che faranno parte del repertorio Soft
Machine. Altro aspetto decisivo è l’esplosione di Robert Wyatt come cantante e
non più solo come batterista. Una voce intensa anche se ancora non sempre
intonata, ma dal timbro così originale, stilisticamente vicina al mondo black e
in parte jazzistico, insomma vero e proprio tratto distintivo di un gruppo fin
lì non molto significativo.
Ultima
osservazione, la presenza e la rotazione, si comincia già da ora, di diversi
musicisti che poi seguiteranno ad incontrarsi negli anni successivi. Richard
Coughlan alla batteria con Wyatt alla voce, Pye Hastings alla voce e chitarra a
12 corde con Wyatt ai cori e alla batteria, Mike Ratledge all’ organo e al
flauto (!). Se questo è frutto delle registrazioni effettuate in diversi anni e
luoghi e poi inserite in questo cd/compilation, nondimeno è già un primo segno di
condivisione di esperienze e amicizie.
La musica
dei Wilde Flowers, ad ogni modo, scivola via abbastanza in fretta, un onesto
beat condito, per l’appunto, da una serie di brani in alcuni casi già
significativi ed intriganti, come Memories
e Hope for happiness (scritta da
Brian Hopper), anche se ancora acerbi e suonati non bene.
Ma quello
che accadeva in tutta l’Inghilterra, con l’emergere della psichedelia e quindi
larghi spazi alle sperimentazioni e all’improvvisazione, aveva un effetto
fortissimo soprattutto su Robert Wyatt, unito poi all’influenza ancora
predominante di Deavid Allen e delle sue idee alternative.
“Robert voleva davvero cambiare direzione ma
non sapeva che strada prendere. Dava il suo contributo ai Wilde Flowers ma
veniva anche spinto dagli altri a intraprendere qualcosa di nuovo e inaugurare
percorsi completamente inediti”[19]. Così, ancora una volta
Majorca diventa fondamentale per le nostre vicende. Durante la Pasqua del 1966
Daevid Allen e Kevin Ayers, sempre ospiti del poeta Robert Graves, conoscono un
ricco proprietario americano di night club, Wes Brunson e questi, dopo aver
ingerito acidi ed altre sostanze stupefacenti, dichiara di aver avuto una
visione e di dover regalare un mucchio di soldi a persone che annunciassero la
nuova era per servire Dio[20].
Kevin Ayers
e Daevid Allen convincono Wes Brunson che sono loro le persone adatte a
ricevere il finanziamento per mettere in piedi un gruppo musicale in grado di
annunciare la nuova era.
E così
accade; Brunson torna negli Stati Uniti, liquida le sue imprese e raggiunge in
Inghilterra Daevid e Kevin, finanziando l’acquisto di strumenti musicali e
l’affitto di un appartamento a Canterbury dove poter vivere e provare il
repertorio del nuovo gruppo. I Mister Head, questo il nome scelto da Daevid
Allen, vedevano Ayers alla chitarra ritmica, Allen al basso elettrico, Wyatt
alla batteria e un chitarrista americano di nome Larry Nowlin conosciuto a
Majorca. Per due mesi Wyatt suonò sia con i Wilde Flowers che con i Mister
Head, e i repertori dei due gruppi comunque avevano brani in comune, le canzoni
dei fratelli Hopper.
In estate i
Mister Head si trasferiscono a Londra e nell’agosto del 1966 Mike Ratledge, da
Oxford, raggiunge i suoi vecchi amici. A settembre Larry Nowlin abbandona il
gruppo che si ritrova così ad essere un quartetto: Daevid Allen, chitarra e
voce, Kevin Ayers, basso e voce, Mike Ratledge, organo e Robert Wyatt batteria
e voce.
Decisi a
cambiare nome alla band, la scelta cade sul titolo di un libro di William
Borroughs (autore con il quale Daevid aveva collaborato sia a Parigi che a
Londra), The Soft Machine[21].
La nascita
ufficiale dei Soft Machine avviene in un momento topico per la musica rock in
Inghilterra e anche negli U.S.A. A fianco dei Beatles e dei Rolling Stones c’è
una marea crescente di gruppi che infiammano le platee giovanili, e negli
U.S.A. l’invasione britannica ha prodotto tutta una serie di gruppi come
Jefferson Airplane e Grateful Dead che rielaborano a loro modo le idee musicali
provenienti da Londra.
Ma è un
momento particolare anche perché il rock inizia a mutare pelle; il brano di due
o tre minuti non è più sufficiente ad esprimere le innumerevoli idee dei
musicisti e, grazie anche a un uso frequente di droghe, esplode la psichedelia,
una musica intensa, sperimentale, ricca di soluzioni prima inesplorate, con
suoni distorti e lunghe improvvisazioni, soprattutto dal vivo. Questa musica si
collega immediatamente al mondo underground della controcultura londinese e si
assisterà a memorabili concerti ed eventi all’UFO Club dove il palco sarà
condiviso da decine di gruppi psichedelici e rock, insieme a situazioni più
sperimentali (gli AMM di Rowe e Cardew divideranno spesso la serata con Pink
Floyd e Soft Machine).
Da qui le
strade della piccola comunità di Wellington House cominciano a disperdersi e,
come annunciato nell’introduzione, cercheremo di seguirne le vicende non gruppo
per gruppo ma tenendo insieme, per l’appunto, i musicisti che condividevano lo
stesso approccio alla musica.
Nel febbraio
del 1967 i Soft Machine pubblicano il loro primo (e unico) singolo per la
Polydor, Loves Makes Sweet Music/Feelin’,
Reelin’, Squeelin’, prodotto dall’americano Kim Fowley.
Qualche mese
più tardi, con Giorgio Gomelski come produttore, registrano una serie di demo
che però vengono pubblicati su disco solo nel 1971.
Jet –
Propelled Photographs avrebbe dovuto essere il primo Lp per i Soft Machine,
ma fortunatamente le registrazioni rimasero nel cassetto e vennero pubblicate,
come detto, solo alcuni anni dopo. La musica è
effettivamente lontana da ciò che erano, e che saranno, i Softs: “their performing energy, the predominance
of improvisation and their hybridization of disparate musical styles are
conspicuous by being almost totally absent from the demos”[22]. Infatti, il
disco risulterà “a series of anaemic pop
singles”[23], e
giustamente osteggiato dai musicisti. Significativa appare la scelta dei brani,
con la scelta di tre canzoni di Hugh Hopper che all’epoca non faceva parte del
gruppo.
Intanto i
Soft Machine erano diventati una delle attrazioni più importanti della scena
londinese. Una serie di concerti a fianco dei Pink Floyd avevano portato i
quattro musicisti di Canterbury sull’onda del successo ed erano considerati uno
dei gruppi più interessanti della musica psichedelica, soprattutto dopo la
partecipazione al più importante evento musicale dell’anno, il 14th Hour
Technicolour Dream, un concerto tenuto per sostenere il magazine alternativo
International Times.
Nel
frattempo, la Gran Bretagna, come detto, pullulava di gruppi rock, e c’era una
frequente mobilità di musicisti tra un gruppo e l’altro e anche di differenti
generi musicali. A fine 1966 un giovane chitarrista di nome Phil Miller forma
la sua prima band - Bruno’s Blues Band
poi Delivery - con suo fratello, il tastierista Steve Miller e un suo amico di
infanzia, il batterista Pip Pyle. Steve Miller aveva già suonato in diversi
gruppi blues e la musica del gruppo è a cavallo tra il beat e il classico rock
blues di quegl’anni. Nel 1967 il primo bassista viene sostituito da Roy
Babbington e, tramite conoscenze con le sue prime esperienze blues, Steve
Miller chiama il sassofonista Lol Coxhill a far parte del gruppo.
Sempre nel
sottobosco psichedelico londinese, in quegli anni dalle ceneri degli Uriel, con
Dave Stewart all’organo, Steve Hillage alla chitarra, Mont Campbell al basso e
Clive Brooks alla batteria, nascono gli Egg, semplicemente gli stessi
componenti escluso Steve Hillage che comunque collaborerà saltuariamente.
Musica elaborata, tra virtuosismo e citazioni classiche, gli Egg non riscuotono
particolare successo, ma i musicisti saranno parte fondamentale della scena
canterburiana successivamente. Da notare, nella musica degli Egg, un uso ampio
di tempi dispari e, nei testi di Mont Campbell, un tipico british sense of
humour.
A Canterbury
invece i Wilde Flowers proseguono a suonare, ovviamente con una diversa line
up. Al posto di Robert Wyatt alla voce c’è Pye Hastings, che prima suonava
occasionalmente la chitarra e si trova così ad essere al centro della scena[24]. Alla
batteria c’è Richard Coughlan, anche lui già utilizzato occasionalmente nel
gruppo.
Hugh decide
di passare al sassofono contralto e, con il fratello Brian al tenore e soprano,
provano a costituire una tipica sezione fiati per una musica certamente più
vicina al soul e al rhythm’n’blues di quanto non lo fosse prima. Per sostituire
il basso Richard Sinclair chiama suo cugino Dave (anche lui studente alla Simon
Langton ma più piccolo di Robert Wyatt e Hugh Hopper) che, dopo un paio di
prove abbandona in favore di un organo.
Ma il gruppo
ormai aveva perso le sue ambizioni e per tutto il 1967 continuò a suonare solo
a Canterbury e dintorni.
Tutt’altra
energia si respirava dalle parti dei Soft Machine. Dopo i successi londinesi,
nell’estate del 1967 i Softs sbarcano in Francia per una serie di concerti e
performance teatrali d’avanguardia. Al
ritorno in Gran Bretagna Daevid Allen viene fermato alla frontiera a causa del
visto scaduto e costretto a rimanere in Francia. Così, improvvisamente i Soft
Machine diventano un trio, almeno per il momento.
Ad
allontanare Daevid fu chiaramente un problema burocratico, ma comunque erano
sorti, proprio in quella tournée, una serie di dissidi dovuti alla poca
capacità tecnica di suonare di Allen.
Dopo l’ultimo concerto “Robert angrily
confronted me…. he said he was embarrassed to be musically associated with me”[25]. Daevid così
tornò a Parigi e da lì ripartirà la sua avventura, musicale e no.
L’inizio del
1968 porta i Soft Machine in tournée negli Stati Uniti per tre mesi con Jimi Hendrix,
dato che i manager erano gli stessi.
Contemporaneamente,
a Canterbury, si sciolgono i Wilde Flowers e nascono, dalle loro ceneri, i
Caravan: Pye Hastings, chitarra e voce, Dave Sinclair, organo, Richard
Sinclair, basso e voce, Richard Coughlan, batteria. Tutti i membri dei Wilde
Flowers, eccetto i fratelli Hopper, con Brian che prova a formare altri gruppi
senza alcun successo e Hugh addirittura nelle vesti di road manager per la
tournée americana dei Softs.
Nei tre mesi
negli Stati Uniti i Soft Machine registrano finalmente il loro primo album,
della cui produzione, peraltro, soprattutto Kevin Ayers non fu per nulla
soddisfatto.
Diviso in
tre suites, The Soft Machine è
considerato uno dei dischi più importanti della storia del rock progressive
inglese, “a true fusion of rock, jazz and
psychedelia of the highest calibre”[26]. In forma ancora embrionale
e approssimativa, già troviamo alcuni degli aspetti fondamentali della scena di
Canterbury: la forma suite, le improvvisazioni dal vago sapore jazzistico,
ovviamente le famose pop songs, qui predominanti, l’ironia e il non-sense. Un
lavoro che tuttavia non riflette ancora ciò che la band suona dal vivo, e cioè
quell’energia incredibile, che li porta a mantenere la line up a tre (come Jimi
Hendrix) e le lunghe improvvisazioni che caratterizzano le loro esibizioni
live.
Nel maggio
del 1968 i Soft Machine ripartono in tournée per gli U.S.A., sempre a fianco di
Hendrix, e con un nuovo membro, il chitarrista Andy Summers, poi nei Police. Dopo
due mesi, lascerà il gruppo.
Ma la nuova
tournée americana provoca ulteriori problemi all’interno del gruppo, sia
musicali, tra Mike Ratledge e Kevin Ayers, con il primo più deciso su improvvisazioni
e sperimentazioni mentre il secondo più orientato sul pop, sia di gestione
nervosa e logistica dei componenti. Wyatt rimane per un po’ negli Stati Uniti,
mentre Kevin Ayers, stressato da mesi di tournée e con sempre maggiori
divergenze sulle direttive musicali della band, decide di partire per Ibiza e
quindi di abbandonare il gruppo. A sostituirlo viene chiamato, naturalmente
diremmo, Hugh Hopper, che proprio da poco aveva venduto il suo basso (sic)[27].
A Parigi
Daevid Allen, con la sua compagna Gilli Smith e altri musicisti, forma una
specie di collettivo musicale dedito a sperimentazioni sonore ed altro chiamato
Gong. Con questa line up non ben definita a marzo del 1968 i Gong vengono
chiamati a suonare al Museum of Modern Art di Stoccolma insieme a Don Cherry.
Daevid
partecipa anche agli scontri tra studenti e polizia nel maggio ’68 a Parigi e,
più in generale, rimane molto attivo nell’ambito culturale, partecipando a
performances con il Living Theatre, ad eventi poetici e teatrali e,
chiaramente, anche suonando.
A fine ’68
anche i Caravan iniziano le registrazioni per il loro primo album, dopo una
serie di brillanti concerti tenuti a Canterbury e Londra (in un’occasione si
esibiscono a fianco del Chris McGregor Sextet!). L’album, dal titolo Caravan, esce nel gennaio 1969 per la
MGM/Verve e, nonostante le aspettative, non ottiene molto successo.
Certamente
più orientato sul versante pop rispetto al primo disco dei “cugini” Soft
Machine e con chiare influenze beat e psichedeliche, Caravan tuttavia mostra già alcuni segni delle future evoluzioni,
prima fra tutte la suite presente alla fine del disco, Where but for Caravan would I, scritta tra l’altro in parte da
Brian Hopper e tipico esempio di collage di brani inseriti all’interno di una
forma suite per l’appunto.
Nell’estate
del 1969 Robert Wyatt, Hugh Hopper e Mike Ratledge partecipano alle session per
Joy of a Toy, uscito per la Harvest a
novembre dello stesso anno, il primo Lp di Kevin Ayers definitivamente
ripresosi dallo stress e sicuro ormai ad andare avanti con una carriera
solista.
L’album è
ricco di splendide canzoni, anche qui con chiari segnali “canterburiani” che
vanno dai testi a volte surreali ed autoironici ad atmosfere macchiate da jazz
e spunti sperimentali, con gli arrangiamenti del compositore d’avanguardia
David Bedford.
A settembre
del 1969 esce, invece, il secondo Lp dei Softs, Volume Two, con la partecipazione di Brian Hopper al sassofono. Con
un magistrale equilibrio tra sperimentazione e pop, virtuosismo e nonsense, cenni
jazz e autentico spirito rock, questo lavoro rimarrà per certi versi unico
nella loro storia.
Ma a ottobre
avviene una grande trasformazione in seno ai Soft Machine: al posto del
sassofono di Brian Hopper viene ingaggiata una vera e propria sezione fiati,
quella del pianista jazz inglese Keith Tippett. Elton Dean, sax contralto e
saxello, Lyn Dobson, sassofoni e flauto, Marc Charig, cornetta, Nick Evans,
trombone sono i 4 jazzisti che entrano a far parte stabilmente nel gruppo anche
se alla fine solo Elton Dean rimarrà per alcuni anni. Secondo Mike Ratledge “l’idea di allargare il gruppo nacque dal
fatto che scrivevamo sempre di più – passavamo più tempo a comporre che a
suonare – e ci toccava ridimensionare ogni volta le nostre partiture perché tre
persone non possono fare più di tanto”[28].
Questa
formazione, ovviamente, non avrà vita lunga, anche per le difficoltà di
amplificazione durante i concerti, ma registrerà il famoso terzo Lp dei Softs.
Third esce nel
giugno del 1970 e i Soft Machine da
due mesi sono diventati definitivamente un quartetto, con il solo Elton Dean
rimasto nel gruppo.
Il disco, a
detta di pubblico e critica, rappresenta l’apice della creatività del gruppo;
quattro brani su quattro facciate, uno composto da Robert Wyatt - e suonato
quasi interamente da solo, la famosa Moon
in June - uno da Hugh Hopper e due da Mike Ratledge. Il sound ora è
nettamente più orientato verso il jazz rock e la sperimentazione, il
minimalismo di Terry Riley e certe atmosfere alla Frank Zappa. Soprattutto è in
netta minoranza l’elemento pop, e anche il solo cantato, per dirla tutta, è
limitato al famoso brano suonato in gran parte dal solo Robert Wyatt, Moon in June, preludio alla separazione
che avverrà poco tempo dopo.
Anche gli
altri membri della compagnia continuano le loro attività. Daevid Allen riesce
alla fine a consolidare una line up per i suoi Gong, con Didier Malherbe al
sassofono contralto e al flauto, la sua compagna Gilli Smyth al sussurro
spaziale (sic), Christian Tritsch alla chitarra e al basso, Rachid Houari alla
batteria, e comincia a registrare il suo primo Lp - sarà a nome Daevid Allen e
Gilli Smith, poi ristampato a nome Gong - che uscirà nel marzo del 1970 in Francia, Magick Brother.
I Caravan
faranno uscire nel settembre del ‘70 il loro secondo album, If I Could Do It All Over Again, I’d Do It
All Over You, nel quale partecipa, come ospite, il fratello di Pye
Hastings, Jimmy Hastings, flautista e sassofonista. Lunghe suite,
improvvisazioni jazzistiche e brani pop tra atmosfere morbide e accelerazioni
distorte. Preludio al loro capolavoro, In
the land of grey and pink , uscito nell’aprile del 1971 e considerato,
appunto, il loro miglior album, sicuramente uno dei dischi fondamentali della
scena di Canterbury e del rock inglese in generale. Un’intera facciata occupata
da una suite mentre l’altra ha quattro tipiche pop songs in stile Caravan. E’
un lavoro nel quale tutti gli elementi musicali canterburiani sono fusi alla perfezione,
dalle catchy pop songs alle improvvisazioni tematiche, il tocco jazz di Jimmy Hastings
unito a linee tematiche dal sapore agreste, la morbidezza alternata ad elementi
vigorosi e incalzanti, incastonati all’interno
di un’estetica dai richiami fantasy.
Ma questo
periodo vede il fiorire di produzioni discografiche e concerti dei gruppi
canterburiani in una sorta di crescendo.
Kevin Ayers
forma un suo gruppo stabile, il Whole World Band. Con un giovanissimo Mike
Oldfield alla chitarra elettrica e al basso, Mick Fincher alla batteria, sempre
David Bedford al piano e agli arrangiamenti, Lol Coxhill, esponente della scena
improvvisativa inglese, già membro dei Delivery e sorta di “nomade” musicale al
sassofono, il gruppo registra Shooting at
the moon.
L'album
alterna alcune tra le migliori canzoni di Ayers - May I?, Clarence in
Wonderland, Red green and you blue
- a lunghe esplorazioni strumentali - Pisser
dans un violon, Underwater. Il
brano Shooting at the moon è una
riproposizione della vecchia Jet
Propelled Photograph, che faceva parte dei demo registrati nel 1967 con i
Soft.
Il 1970,
nonostante la morte di Hendrix e Joplin, è un anno eccezionale per le musiche
giovanili, soprattutto in ambito rock ovviamente, ma non deve essere trascurato
l’enorme successo del Miles Davis di Bitches
brew, uscito proprio nell’aprile di quell’anno, e che aprirà il fecondo
filone del jazz rock. In questo fermento i musicisti di Canterbury sembrano
trovarsi a proprio agio recitando, nel caso soprattutto dei Soft Machine, un
ruolo di primo piano sia in ambito propriamente pop rock che anche in quello
jazzistico, con la pubblicazione di Third.
E proprio al
jazz, suo primo amore, che Wyatt prova a fare riferimento con il suo primo
lavoro solista, The end of an ear,
pubblicato nel dicembre del ‘70.
La
registrazione di Third aveva lasciato
una serie di tensioni all’interno dei Soft Machine con Wyatt che si sentiva
isolato dal gruppo[29].
Decide così di registrare un album dove potersi liberamente esprimere e mettere
a frutto tutta una serie di idee e suggestioni derivate dalle numerose
frequentazioni con musicisti di estrazione jazzistica.
In realtà,
anche qui, il jazz è fonte di ispirazione ma l’approccio è decisamente libero
da cliché e confini prestabiliti, una sorta di “innovative mix of free jazz, rock and avant-garde music with liberal
use of his signature vocal experiment”[30]. Importanti sono i
musicisti che partecipano alla registrazione, con Elton Dean troviamo un David
Sinclair all’organo, membro dei Caravan e musicista non proprio vicino ad
ambiti sperimentali e/o jazzistici, e i dedicatarii dei brani del disco, che in
realtà sono proprio la famosa scena di Canterbury: To Caravan and brother Jim (Caravan e Jimmy Hastings), To the old world (The Whole World, il
gruppo di Kevin Ayers con il quale Wyatt in questo periodo talvolta suona), To Oz alien Daevyd, and Gilli Smyth (David
Allen e Gilli Smyth), più una serie di dediche a personaggi come Nick Evans,
Carla Bley, il fratello maggiore Mark, che suona il piano nel disco e una
riproposizione, in versione molto libera, di Las Vegas tango di Gil Evans.
Con l’uscita
di Bitches brew, Third, Elastic rock dei
Nucleus di Ian Carr, la commistione tra jazz e rock incontra il favore del
pubblico e dei musicisti, su entrambi le sponde, sia quella jazz che quella
rock. E’ soprattutto in Inghilterra, e a Londra, che l’incontro tra jazzisti e
rockers, pur se anomali e sperimentali, produce una serie di progetti e lavori
di notevole interesse, segnando ancora di più le vicende e le musiche dei
canterburiani, che di questi incontri ne saranno i protagonisti, soprattutto
dal lato Soft Machine.
E’ di questi
anni l’esperimento Centipede portato avanti da Keith Tippett, pianista jazz al
quale i Soft Machine avevano preso la sezione fiati del suo sestetto, una mega
orchestra di 50 elementi con all’interno jazzisti sudafricani e inglesi, musicisti
della scena blues londinese e di estrazione classica (soprattutto violini e
violoncelli), Robert Wyatt ed Elton Dean. L’album Septober energy, uscito nell’ottobre del ’71, rappresenta per certi
versi l’utopia di una musica totale priva di barriere ed inclusiva, con
all’interno suggestioni free, ritmi africani ed estetiche radicali. E’ un
esperimento che non avrà lunga vita, ma influenzerà una parte dell’ambiente
londinese, tra cui ovviamente i musicisti di Canterbury e anche altri esponenti
del progressive inglese, primi fra tutti i King Crimson, non a caso Robert
Fripp appare come produttore del disco.
Lo stesso
Keith Tippett continuerà questa sua commistione con i Soft Machine registrando
un album del suo gruppo con il titolo di un brano di Hugh Hopper, Dedicated to you, but you weren’t listening,
con all’interno una versione stravolta del brano e Robert Wyatt presente in
alcuni brani alla batteria.
Quest’ultimo
è certamente l’elemento più “vivace” di tutta la scena perché avvia una serie
di collaborazioni al confine tra jazz e rock, con il sassofonista Gary Windo,
con Trevor Watts e John Stevens, registrando un nuovo disco di Daevid Allen (Banana moon, dove c’è anche una versione
di Memories di Hugh Hopper) e
collaborando al nuovo album di Kevin Ayers - Whatevershebringswesing, uscito nel gennaio 1972.
Ma l’elenco
delle collaborazioni di Wyatt è lunghissimo e va da alcuni concerti dei Gong
(con anche Kevin Ayers in formazione) a Paul Bley, Gary Burton e Terje Rypdal,
Mongezi Feza e Dudu Pukwana.
Queste sue
numerose collaborazioni sono anche il sintomo di una situazione difficile che
Wyatt vive all’interno dei Soft Machine, dove è ormai in minoranza rispetto
all’asse Ratledge-Hopper, sempre più orientati verso una musica strumentale,
vicina più al jazz rock che alla psichedelia o al pop seppur stralunato dei
primi tempi. Il quarto Lp dei Softs - Fourth,
pubblicato nel gennaio del ’71 - vede la presenza di Wyatt solo alla batteria
e, per la prima volta nel gruppo, nessun brano cantato. Peraltro, la musica
effettivamente vira verso altri lidi, caratterizzata da “brevity of thematic materials, and a greater emphasis on improvisation”[31]. È
l’ultimo atto prima della definitiva separazione: Robert Wyatt lascia il gruppo
e si avvia a formare un nuovo progetto che comunque richiamerà, nel nome,
proprio i Softs.
I Matching
Mole, omofonia con l’ironica traduzione francese di Soft Machine, Machine
Molle, si formano nel ’71, contemporaneamente al primo cambio di formazione dei
Caravan. Quasi in una sorta di cammino parallelo, anche il gruppo fin lì più
stabile della scena di Canterbury, dopo il successo del loro terzo album In the land of grey and pink, così come
era successo dopo Third dei Soft
Machine, entrano in crisi e nell’agosto del ’71 l’organista David Sinclair che
aveva collaborato con Wyatt in The end of
an ear, lascia i Caravan ed entra a far parte del nuovo progetto Matching
Mole.
E
continuando con i parallelismi, a sostituire Sinclair nei Caravan subentra
Steve Miller, già nei Delivery e fratello del chitarrista Phil Miller, anche
lui nei Matching Mole. È questo il periodo dove le strade cominciano a
separarsi ma anche ad intrecciarsi in modo curioso. I Delivery, oltre a
“fornire” i fratelli Miller daranno il batterista Laurie Allan (che aveva
rimpiazzato Pip Pyle) ai Gong e, come abbiamo visto, Lol Coxhill ai Whole World
Band di Kevin Ayers.
Con l’album Matching Mole, uscito nell’aprile del
1972, Robert Wyatt ritorna, anche se solo in parte naturalmente, a quel mix
surreale di jazz, rock, pop e sperimentalismo tipico dei primi Softs, ma con
un’attenzione maggiore all’improvvisazione, soprattutto da parte di Phil
Miller. La presenza di un brano pop come O
Caroline, scritta da Wyatt e Sinclair, riporta un po’ alle atmosfere alla
Kevin Ayers o alla Caravan, sicuramente è il marchio di fabbrica del Canterbury
sound, le famose catchy pop songs unite a sperimentazioni e improvvisazioni.
Un mese dopo
esce il quarto Lp dei Caravan - Waterloo
Lily - il primo con Steve Miller al posto di David Sinclair e, in qualità
di ospiti Lol Coxhill e Phil Miller. Anche qui, e vorremmo dire che a questo
punto non è una casualità ma forse reciproca influenza e trend del momento, c’è
un maggiore spazio per l’improvvisazione e un sound più vicino alla fusion, con
la presenza di Steve Miller al piano.
A giugno
esce Fifth dei Soft Machine, ed ormai
il gruppo è inserito in pieno nel filone jazz rock, con il suono del fender
rhodes a sostituire spesso l’organo e la presenza, in alcuni brani, di un
jazzista come Phil Howard alla batteria (che comunque verrà sostituito da John
Marshall proprio perché, per Hopper e Ratledge, troppo jazzista).
Ma, si
diceva sopra, è una fase di separazioni e intrecci che rende difficile la
narrazione cronologica ma arricchisce lo spettro musicale. Elton Dean abbandona
i Softs nel maggio del ’72 e, a questo punto, dei Soft Machine “canterburiani”
rimane ben poco, se non il nome.
I fratelli
Miller lasciano e riprendono più volte i Delivery con le presenze di Richard
Sinclair, che nel frattempo aveva lasciato i Caravan, David Sinclair, che aveva
lasciato i Matching Mole, Lol Coxhill, Pip Pyle, Roy Babbington
(contrabbassista in Fourth dei Soft
Machine e sostituto di Hugh Hopper successivamente), addirittura Didier
Malherbe dei Gong come ospite in un concerto, fino ad arrivare alla
costituzione di un nuovo gruppo, gli Hatfield and the North.
A fine ’72
esce il secondo (e ultimo) disco dei Matching Mole, Little red record, con David MacRae al piano elettrico ad
indirizzare il sound verso la fusion, ma con il solito mix di jazz,
sperimentazioni e rock ad arricchire un lavoro comunque innovativo e
convincente.
Da segnalare
la presenza, come ospite, di Brian Eno al sintetizzatore e la produzione di
Robert Fripp.
In questo
ricchissimo 1972 cominciano anche le registrazioni del primo Lp solista di Hugh
Hopper, 1984 (uscito poi nel 1973),
autentico lavoro sperimentale dove il bassista dei Softs elabora e sviluppa la
sua passione per i tape loops appresa anni prima da Terry Riley in compagnia di
Daevid Allen. L’elenco dei musicisti che partecipano alla registrazione è eloquente
e oggettivamente esplicativo di ciò che si definisce scena di Canterbury: Pye
Hastings, Lol Coxhill, Gary Windo, John Marshall, Malcom Griffiths, Nick Evans.
Abbiamo
lasciato, nella nostra narrazione, le vicende di Daevid Allen e del suo progetto
Gong. In un turbinio di cambiamenti di formazioni, concerti e tour in giro per
l’Europa, progetti solistici e apparizioni in altri contesti, collaborazioni e
fughe a Majorca, Daevid Allen e i suoi Gong pubblicano (anche se all’inizio
solo in Francia) il loro primo lp Camembert
electrique, sorta di patchwork psichedelico che dà avvio al mondo
fantastico del pianeta Gong, con incursioni jazzistiche, psichedelia, space
rock e l’insostituibile follia di Allen che dà una fortissima impronta al disco
e al gruppo in generale. Alla batteria un Pip Pyle che subito dopo abbandonerà
il gruppo lasciando il posto a Laurie Allan e al sassofono e flauto Didier
Malherbe, anche lui tratto distintivo del sound del gruppo.
Il 1973 e il
1974 sono anni decisivi per le vicende dei nostri musicisti. I due gruppi
storici della scena di Canterbury, Soft Machine e Caravan, sono in netta crisi
e, con continui cambi di formazione, producono una serie di album lontani dalle
atmosfere e dalla creatività dei primi anni. Possiamo dire che, al di là del
nome, effettivamente la musica di Six
(con Karl Jenkins, dai Nucleus, al posto di Elton Dean) e Seven (con Roy Babbington al posto di Hugh Hopper) dei Soft Machine
non ha più quegli elementi tipici della scena di Canterbury. Così come For girls who grow plump in the night (senza
Richard Sinclair e i fratelli Miller, ma con David Sinclair di nuovo
all’organo) e Caravan and the New
Simphonia (live con un’orchestra classica) dei Caravan sono, anch’essi,
lontani da quel mix surreale di jazz, rock, sperimentalismo e pop songs tipico
della musica canterburiana.
Chi seguita
a proporre, con slancio e genialità, il fascino di quel sound è Daevid Allen
con i suoi Gong. Tra il ’73 e il ’74 il gruppo pubblicherà la famosa trilogia
di Radio Gnome, composta da Flying teapot,
Angel’s egg e You.
Stabilizzata
la formazione con l’arrivo del chitarrista Steve Hillage (ma anche con il
solito cambio di batteristi, Laurie Allan poi Pierre Moerlen), i Gong costituiscono
il versante più psichedelico della scena di Canterbury. La genialità di Allen
viene accompagnata ora da un nucleo di musicisti validi tecnicamente ed in
grado di far volare il pianeta Gong nei meandri di una musica sognante eppur
ironica e dissacrante, con larghi spazi all’improvvisazione sia di matrice
jazzistica ed etnica che rock. E la
costruzione testuale di una mitologia fantastica comprensiva di folletti,
teiere volanti e pianeti lontani rende la trilogia gonghiana un unicum
all’interno della storia del rock. Purtroppo, Allen è personaggio troppo
lontano dallo star system e troppo instabile per mantenere in piedi un gruppo
comunque giunto ora ad una sua pur modesta notorietà. Ed è vero anche che
questa musica arriva forse troppo tardi, in un momento in cui le utopie della
summer of love sono in fase discendente sostituite da esteriorità, glamour,
snobismo e una frammentazione[32] che
nuoce e ghettizza proprio quelle musiche prive di confini certi, stabili.
E’ da qui
che i musicisti di Canterbury, prima pionieri e star del momento, iniziano la
loro parabola discendente anche se solo dal punto di vista commerciale e non
ancora da quello creativo. In ogni caso, come i Soft Machine e i Caravan, anche
i Gong entrano in crisi con l’abbandono del gruppo da parte di Daevid Allen e
della sua compagna Gilli Smyth. Gruppo che finisce nelle mani del batterista e
percussionista Pierre Morlen e che si inserirà (anche loro!) in pieno nello
“scaffale“, certamente più comodo e catalogabile, del jazz rock.
Ma, dicevamo,
il 1973 è un anno fondamentale per la scena di Canterbury. Nel giugno di
quell’anno Robert Wyatt, dopo aver fatto uso di una grande quantità di alcool,
durante una festa cade dal quarto piano e perde definitivamente l’uso delle
gambe. E’ la fine del Wyatt batterista, ma è l’inizio di una carriera, come
cantante e compositore, eccezionale.
Il 1974 vede
una serie di concerti e uscite discografiche che tengono ancora alta l’estetica
canterburiana, ormai priva dei gruppi più famosi perché “confluiti” in altri
generi o semplicemente in crisi di creatività. Kevin Ayers e Robert Wyatt sono
i responsabili di due importanti concerti tenutisi a Londra, uno il primo
giugno e l’altro l’8 settembre dello stesso anno, ambedue pubblicati su disco.
Il primo è a nome Kevin Ayers, John Cale, Nico, Brian Eno ed è un concerto che
vede la presenza anche di Wyatt e Mike Oldfield, ormai divenuto famoso con il
suo Tubolar Bells. Una sorta di supergruppo che comunque non ebbe nessun
seguito ma che mostra la capacità di Ayers di “colorare” la sua musica con
musicisti di grande prestigio.
L’altro
concerto è a nome di Robert Wyatt e vede la partecipazione di numerosi
musicisti legati alla scena di Canterbury o comunque ad essa vicini: Hugh
Hopper, Dave Stewart, Gary Windo, Laurie Allan, Mongezi Feza, Nick Mason, Fred
Frith, Julie Tippetts, Mike Oldfield e Ivor Cutler. Un concerto eccezionale
uscito su cd solo qualche anno fa e che vede un Wyatt stellare alla voce,
accompagnato da una formazione di autentici fuoriclasse.
Nella
scaletta ci sono brani che sarebbero usciti di lì a poco su disco e che
appartengono a storie passate e nuovi gruppi. Memories, di Hugh Hopper, esce direttamente dall’archivio Wilde
Flowers, mentre Calyx è il nuovo
brano manifesto di Canterbury scritto da Phil Miller per gli Hatfield and the
North. Ma ci sono anche molte canzoni dal capolavoro solista di Wyatt, Rock bottom così come brani dei Matching
Mole.
È come se,
ora, la vecchia Canterbury avesse lasciato il posto ad una nuova, meno
arrembante ma più matura, riflessiva. E’ il momento delle collaborazioni, della
costante ricerca del progetto nuovo vincente ma comunque fedele alla vecchia
estetica, perciò indisponibile a compromessi.
Sempre nel
1974, ripresosi dall’incidente (anche grazie all’aiuto di moltissimi musicisti
a lui vicini), Wyatt incide il bellissimo Rock
bottom, opera introspettiva e pacata, difficilmente classificabile, dentro
e allo stesso tempo fuori dal sound canterburiano. L’elenco dei musicisti è
comunque significativo: Richard Sinclair e Hugh Hopper, Laurie Allan, Fred
Frith, Gary Windo, Mongezi Feza.
Nello stesso
anno esce il primo album degli Hatfield and the North, il gruppo che raccoglie
un po’ le eredità dei gruppi storici di Canterbury, soprattutto i Caravan. Li
avevamo visti alle prese con diversi cambi di formazione (ma questa sarà una
costante di tutta la scena di Canterbury, in particolare per gli ultimi
gruppi), ora con Richard Sinclair al basso, Pip Pyle alla batteria, Phil Miller
alla chitarra e Dave Stewart (dagli Egg) all’organo e al Fender Rhodes, gli
Hatfield pubblicano Hatfield and the
North. Il disco è arricchito dalla presenza di Wyatt (alla voce nella
stupenda Calyx di Phil Miller), Geoff
Leigh degli Henry Cow ai fiati, Didier Malherbe dei Gong al sax tenore, il
solito Jimmy Hastings al flauto e un trio di coriste, le Northettes, composto
da Barbara Gaskin, Amanda Parsons e Ann Rosenthal. Musica complessa, ricercata,
con ampia predominanza di parti strumentali, corredata da tempi dispari e momenti
virtuosistici. Le atmosfere sono adesso più vicine all’estetica progressive,
eppure il sound canterburiano è inequivocabile, dovuto sia ai componenti, gli
stessi ormai da anni, sia alle bizzarrie e alle sperimentazioni che ne fanno,
dell’album, un piccolo capolavoro di sintesi.
L’anno
successivo è la volta di The rotter’s
club, registrato dalla stessa formazione e con ospiti Lindasy Cooper al
fagotto, Tim Hodgkinson al clarinetto (entrambi membri degli Henry Cow), Mont
Campbell al corno francese (dagli Egg, come Dave Stewart), Jimmy Hastings ai
fiati (as usual!) e le Northethess alle voci. Con un’intera suite nella seconda
facciata e una serie di brani sulla prima, tra cui un gioiello pop come Share it di Richard Sinclair, il disco ripercorre
gli stilemi del precedente: è musica elegante e ricercata, di complessa ed
elaborata fattura.
Ma il
successo non arriva, forse è musica troppo ricercata, difficile da catalogare,
e il rock è alle soglie di una nuova rivoluzione. Richard Sinclair abbandona e
il gruppo si scioglie.
Siamo alla
fine delle nostre storie. Robert Wyatt ha ormai intrapreso una brillante
carriera solista e pubblica Ruth is
stranger than Richard, solito mix di jazz, songs e sperimentazioni varie
che caratterizzano un suo vero e proprio stile, con chiari riferimenti a
Canterbury (nel disco è presente, con il nome Soup song, un rifacimento di Slow
walkin’talk di Brian Hopper, suonata ai tempi dei Wilde Flowers).
Anche Kevin
Ayers continua la sua carriera solista pubblicando una serie di lavori ancora
validi (Bananamour, The confessions of dr. Dream and other
stories) e collaborando con diversi musicisti ma ormai la vena creativa
sembra agli sgoccioli e del sound di Canterbury non rimane quasi nulla. Così
come per i Soft Machine, orfani di Hugh Hopper e poi anche di Mike Ratledge,
ovvero due dei fondatori del gruppo, o per i Caravan e i Gong, la musica è
lontana da quel mix surreale canterburiano di cui rimane solo il nome e poco
più. Resta da raccontare dell’ultimo gruppo che ancora tenta di coniugare jazz,
rock, sperimentalismo e pop songs secondo le regole di Canterbury, i National
Health.
Nati dalla
fusione tra Hatfield and the North e Gilgamesh, l’idea di Dave Stewart e Alan
Gowen (tastierista dei Gilgamesh, gruppo con il quale suonerà anche Hugh
Hopper) era di costituire una vera e propria orchestra rock con due chitarre,
due tastiere, tre voci femminili, un basso e una batteria. “Alan avrebbe dovuto suonare il piano
elettrico e il sintetizzatore (su cui mostrava una sorprendente abilità
nonostante non ne possedesse uno) ed io l’organo Hammond, il piano elettrico e
il pianet. Avremmo dovuto comporre entrambi e il gruppo avrebbe cercato di
miscelare la mia musica pesantemente arrangiata e scritta con i pezzi più
improvvisativi di Alan”[33].
Ma la
formazione che arriva al primo album, National
Health del 1977, è composta da Dave Stewart, Phil Miller, Neil Murray al
basso e Pip Pyle alla batteria (all’inizio c’era Bill Bruford).
Consueto
elenco di ospiti con il solito Jimmy Hastings al flauto e clarinetti, Alan
Gowen al synth e al piano elettrico, Amanda Parsons alla voce. La musica è
ancor più strutturata e complessa di quella degli Hatfield nonostante la
formazione sia identica per tre quarti, ma manca il gusto pop di Richard
Sinclair e la sua voce. C’è un grande uso di ritmi composti (cosa che
comporterà, agli inizi, una enorme difficoltà nel trovare un batterista) ma
anche una morbidezza che riporta il tutto al sound di Canterbury. In ogni caso
siamo molto vicini al tipico progressive inglese e certamente ai confini delle
atmosfere canterburiane.
Anche il
secondo album, Of queues and cures
pubblicato nel 1978, con John Greaves (dagli Henry Cow) al basso al posto di
Neil Murray e come ospiti Jimmy Hastings (sic!) ai fiati e Phil Minton alla
tromba ripercorre le stesse tracce del primo disco. Le atmosfere sono sempre
molto elaborate e non c’è molto spazio per l’improvvisazione, ma siamo sempre
lì, tra Canterbury e dintorni. Il problema è che il rock è stato investito
dall’onda del punk e non c’è veramente più spazio per una musica raffinata,
composta, ricercata. I National Health sono l’ultimo gruppo stabile che tenta
di rinnovare le musiche di Canterbury, ma sono fuori tempo massimo. Nel 1980 si
scioglieranno lasciando il testimone a diversi progetti solisti,
collaborazioni, reunion, produzioni discografiche dei musicisti di Canterbury,
in alcuni casi con successo ma nella maggior parte delle volte nelle pieghe del
mercato discografico, di lato, spesso nascosti o ignorati.