Le avventure di un batterista
underground tra psichedelia e punk
Le vicende della musica rock
inglese hanno spesso nascosto o messo da parte i personaggi che non rientravano
nella trattazione classica, quelli che esulavano dai generi o se ne mantenevano
ai margini. Nel racconto emerge sempre un susseguirsi di eventi che sembra
stritolare le personalità contrastanti e fluttuanti. Eppure, il nostro Twink (all’anagrafe John Charles Edward Adler), magistrale
batterista, cantante, attore, si è trovato nel corso della storia al posto
giusto e nel momento giusto, niente da dire su questo. Nella Swingin’ London e
nella Londra del punk, all’Ufo club come a Ladbroke Grove o tra le fila della Chiswick
Records, la prima indie label britannica. È stato l’ultimo hippy e allo stesso tempo un
punk ante litteram, ma tutto questo invece che portargli gloria ha finito per
lasciarlo ai margini, forse volutamente.

Batterista dei Tomorrow, mitico gruppo psichedelico
con lo Steve Howe dei futuri Yes nelle fila, artefici di due fra i
più popolari singoli della Londra Underground del 1967, My White Bycicle e Revolution,
e di un omonimo Lp, Twink poi
approda in un’altra grande band della Londra alternativa, i Pretty Things. Ma prima di approdare
nel gruppo di Phil May e Dick Taylor forma un duo con l’ex
bassista dei Tomorrow John “Junior” Wood chiamato The Aquarian Age e registra un singolo,
10.000 Words In A Cardboard Box/Good
Wizard Meets Naughty Wizard, che poi ritroveremo più avanti nella nostra
storia. Ma, come dicevamo, Twink,
ormai già famoso nei circuiti alternativi, prende il posto di Skip Alan dietro i tamburi dei Pretty Things e registra con loro uno
dei capolavori del rock inglese. S.F. Sorrow,
pubblicato nel dicembre 1968, è il disco della svolta psichedelica del gruppo
basato sulla storia drammatica del protagonista Sebastian F. Sorrow. Primo concept album che anticipa il Tommy degli Who, purtroppo per il gruppo non riscuote il successo sperato e
questo provoca l’abbandono temporaneo del chitarrista Dick Taylor nel giugno del 1969. A questo punto Twink, pur essendo formalmente ancora
un membro dei Pretty Things, inizia
a pensare in proprio e registra alcuni demo insieme al suo vecchio amico John “Junior” Wood e a Steve “Peregrin” Took dei Tyrannosaurus Rex di Marc Bolan. La Sire, un’etichetta
discografica americana che aveva pubblicato il disco dei Tomorrow negli States, gli offre la possibilità di registrare un
album a suo nome e lui, ovviamente, accetta. Il periodo certo non è lo stesso
di qualche anno prima, quando una Londra effervescente era il luogo di
residenza privilegiato della sperimentazione in tutte le arti, atmosfere
vibranti cariche di creatività e ribellione. La psichedelia è ormai defluita
nelle retrovie e una certa aria di riflusso pervade sia la società che
ovviamente la musica. Nonostante questo Twink
si imbarca in un progetto che tenta, con successo va detto, di tenere in vita
quel mix di stravaganza, improvvisazione e visionarietà tipico della musica
psichedelica e inizia le registrazioni del suo primo disco solista, Think Pink.

L’elenco dei musicisti che
collaborano alla realizzazione del disco è significativo e anticipa anche gli
sviluppi futuri della carriera di Twink.
Accanto a Wood e Took ci sono membri dei Pretty Things come Phil May, il chitarrista Vic
Unitt, il bassista Wally Allen e
il tastierista John Povey. E poi il
chitarrista Paul “Blackie” Rundolph,
il bassista Duncan “Sandy” Sanderson
e l’attivista e agitatore culturale Mick
Farren, tutti membri dei Deviants,
un gruppo garage rock dalle sonorità sperimentali e protopunk, una sorta di Fugs londinesi.
L’apertura è affidata a The Coming Of The Other One, caratterizzata
da voci trattate, chitarre e sitar in sottofondo, in un paesaggio psichedelico
vicino a Syd Barrett e con frammenti
di un poema di Nostradamus sul Giorno del Giudizio. Il secondo brano è quella Ten Thousand Words In A Cardboard Box del singolo degli Aquarian Age, qui in una versione più
psichedelica, con la chitarra di Paul
Rudolph che attraversa tutto il brano e nel finale erompe in un assolo
acido, allucinogeno, incalzato dalla movimentata ed agile ritmica di Twink e Junior Wood. Dawn Of Magic
è un bordone ipnotico e surreale, un mantra colorato, mentre la successiva Tiptoe On The Highest Hill (già nel
repertorio degli Aquarian Age) è,
probabilmente, l’apice del disco. Una commovente e sognante ballad, con la
strabiliante chitarra di Rudolph al
contrario, che può benissimo dirsi l’essenza della musica psichedelica. Chiude
la prima facciata Fluid, un inizio
sexy con una voce femminile in estasi e un lungo e piacevole crescendo fino
all’esplosione finale caratterizzata dagli accordi di una chitarra estremamente
distorta e l’altra impegnata in brevi ricami psichedelici, con i piatti e le
rullate di Twink ad esaltare il
tutto.
La seconda facciata del disco si
apre con Mexican Grass War, musica
free form elaborata collettivamente in studio, caratterizzata da tamburi di
guerra e voci confuse, con la chitarra distorta che trafigge il brano fino ad
un parossistico finale. Rock An’ Roll The
Joint è una sorta di hard rock blues, dalle parti di Hendrix, mentre Suicide è
in puro stile Tomorrow/Pretty Things di S.F.Sorrow, chitarre acustiche, stop and go e la solita atmosfera
sognante e fluida. Three Little Piggies
vede insieme Syd Barrett e Daevid Allen, una buffa filastrocca tipicamente sixties, un divertissement
psichedelico. Chiude il disco The Sparrow
Is A Sign, anch’essa composta in
studio ma con un contributo particolare di Steve
Took, ed è un anomalo e disorientante rock attraversato, al solito, da una
grande lavoro di chitarra di Paul
Rudolph.

Twink e i suoi compagni, con Think
Pink, elaborano un piccolo capolavoro, certo nei suoni leggermente datato
ma assolutamente ancora fresco nell’approccio e nello sviluppo di un linguaggio
espansivo e sperimentale. Un disco di autentica musica psichedelica, una
miscela di pop, rock e improvvisazione free form, con atmosfere dilatate e
suoni eterei, melodie sognanti e stravaganze sonore.
Si tratta di quei lavori unici
per certi versi, eccentrici e irripetibili che spesso sono poco conosciuti o
apprezzati. Potrebbe essere fatto un parallelo con The End Of The Game di Peter
Green, tra l’altro uscito nello stesso anno, il 1970, per come viene
affrontata la materia musicale, e per il ruolo che riveste l’improvvisazione
nella composizione delle musiche, anche se ovviamente il lavoro di Peter Green è innervato completamente
di blues.
Come detto Think Pink, con la splendida copertina dello studio Hipgnosis, esce
nel 1970 non prima di essere stato rimixato dallo stesso Twink, insieme a Steve Took,
perché insoddisfatto del lavoro fatto da Mick
Farren, che rivestiva per l’appunto il ruolo di produttore e arrangiatore. Nonostante
questi contrasti con il leader dei Deviants,
Twink è intenzionato a costituire
una nuova band proprio con Mick e Steve
Took, una specie di supergruppo composto da ex Pretty Things, Tyrannosaurus
Rex e Deviants per l’appunto. È
proprio per quest’entusiasmo riguardo il nuovo progetto che il disco solista di
Twink praticamente non avrà
promozione e verrà dimenticato dallo stesso autore, che lo considererà come una
sorta di primo album della nuova formazione, i Pink Fairies.

Dopo un disastroso concerto a
Manchester la nuova band finalmente si stabilizza con i vecchi membri dei Deviants Paul Rudolph, Duncan
Sunderson, Russell Hunter (una
line up con doppia batteria!) ma senza Mick
Farren e Steve Took. Il nome deriva da un locale chiamato Pink
Fairies Motorcycle Club And All-Star Rock’n’Roll Band e ricorda la prima band
di Twink, quei Fairies con i quali aveva registrato tre singoli intorno alla metà
degli anni 60 e che si erano sciolti nel 1967.
A questo punto va avviata una
riflessione, certamente breve in questo ambito, su quella corrente sotterranea
che ha attraversato i sixties e la prima metà degli anni Settanta e che dalla scena
psichedelica londinese, l’Ufo club e il 14 Hour Technicolor Dream, arriva
dritta al punk. Una serie di musicisti e musiche che rimangono lontane dallo
star system e dalle evoluzioni prog, restando fedeli a quell’approccio
spontaneo verso la musica, anche scanzonato. Un intreccio di grezzo e sporco
rock‘n’roll con suggestioni e sonorità psichedeliche, dilatate. E che si
contrappone all’esasperato virtuosismo, all’esibizionismo delle rock star, in
un’ottica ancora legata agli ambienti della controcultura attiva e militante,
all’underground alternativo che sommuove la società. Questi musicisti, i Pink Fairies ma anche gli Hawkwind
(collaboreranno spesso insieme e daranno vita, ad un certo punto, ad un gruppo
dal nome PinkWind), i Deviants di Mick Farren, Steve Cook,
Larry Wallis e altri meno noti sono
l’anello di congiunzione tra la controcultura dei sixties e la rivoluzione
punk, e terranno in vita l’approccio libertario e hippy alla musica e agli
eventi intorno ad essa, come festival, concerti e produzione di dischi.

Da
questo punto di vista il disco d’esordio dei Pink Fairies, Never Never
Land, è significativo. Il brano d’apertura, quella Do It uscita anche come singolo (The Snake/ Do It, gennaio 1971, Polydor), è un graffiante inno alla
rivolta e il titolo è ripreso dal libro di Jerry
Rubin, l’attivista e politico radicale americano amico di Abbie Hoffman (Do It! Scenarios Of The Revolution, uscito nel 1970 e con
l’introduzione di Eldridge Cleaver,
esponente delle Pantere Nere). Twink
ripubblicherà Do It nel febbraio del 1978, in piena era punk, per la
Chiswick Records (Do It ‘77/Psychedelic
Punkeroo/Enter The Diamonds 12”Ep a
nome Twink And The Fairies) e verrà
ripreso anche da Henry Rollins, l’ex
frontmen dello storico gruppo punk californiano Black Flag, con la sua band nel 1988. Ma tutto il disco è un
perfetto alternarsi di energici brani rock e composizioni dilatate, ancorate
alla matrice psichedelica. Basterà citare, oltre a Do It, gli ultimi due brani di Never
Never Land: la potente ed estesa Uncle
Harry’s Last Freakout, cavallo di
battaglia del gruppo dal vivo, un mix di grezzo e ruvido rock e lunghi assoli
che espandono la composizione in una sorta di viaggio spaziale, mentre il
finale è uno splendido brano proprio di Twink,
The Dream Is Just Beginning, delicato
ed etereo, che ricorda certe atmosfere del David
Crosby di If I Could Only Remember My
Name.

Il disco uscirà per la Polydor
nel maggio del 1971 con una copertina dall’aspetto fantasy, curiosamente molto
vicina all’estetica prog ma anche alla mitologia del pianeta Gong. A questo punto i percorsi e le
traiettorie si fanno estremamente confuse, tra abbandoni, ritorni, nuovi
innesti, collaborazioni, fughe in Marocco (Twink),
discografie frammentarie. Giova ricordare, per quanto riguarda Twink, l’effimero progetto con Syd Barrett e l’ex bassista dei Delivery Jack Monck, il trio Stars, che purtroppo, a parte qualche
esibizione dal vivo, non riuscì a registrare nulla per le precarie condizioni
di Barrett. Ma anche la partecipazione
alle registrazioni di quel bizzarro e folle esperimento di Mick Farren,
il suo disco solista Mona-The Carnivorous Circle (registrato nel
dicembre 1969 e pubblicato nel marzo del 1970), intreccio tra spoken word e stralunato
rock, con interviste agli Hell’s Angels e la preziosa presenza di Steve
Took. Poi, nel 1975 una reunion con
i Pink Fairies in un bel live alla
Roundhouse (Live At The Roundhouse, edito nel 1982 dalla Big
Beat).

Tra innumerevoli partecipazioni e collaborazioni si arriva al 1977, in
piena era punk e qui troviamo il nostro Adler,
in qualità di cantante, tra le fila dei Rings,
insieme ad Alan Lee Shaw e Rod Latter degli Adverts. Con questo gruppo registra uno dei primi singoli punk, I Wanna Be Free, sempre per la Chiswick Records. Ma il gruppo si scioglie e
la carriera di John Charles Adler, da questo punto in poi, si fa
confusa e il suo Acid Punk, come lui aveva definito la sua musica, non avrà
seguito. La storia prosegue sempre più sotterranea, tra registrazioni
clandestine e apparizioni come attore in diverse serie televisive inglesi, finché
nel 2013 Fabio Porretti e Marco Conti, i Technicolour Dream, uno dei primi gruppi italiani neo psichedelici
degli anni 80, tramite Facebook contattano Twink,
nel frattempo convertitosi alla religione islamica e con il nuovo nome Mohammed Abdullah. Con lui, e con l’ex
chitarrista dei Blossom Toes Brian Godding, registrano You Reached The Stars (al Gulliver
Master di Roma e missaggio agli Abbey Road Studios di Londra) seguito poi da Think Pink II, con la partecipazione di John Povey dei Pretty Things (mixato da John
Wood!) e da Sympathy For The Beast,
sempre con Povey. Tre dischi che
riportano in superficie quelle sonorità psichedeliche fatte di melodie estatiche
e atmosfere dilatate nel tempo e nello spazio. Come si può facilmente notare,
il nostro non ha certo perso la voglia di suonare e di rimanere nell’underground,
fedele alla sua storia e alla sua estetica di hippy senza tempo. E c’è
ancora spazio per il terzo e quarto capitolo del suo capolavoro, un Think Pink III assolutamente
barrettiano, elettroacustico e sognante, mentre il Think Pink IV accarezza il cosmo e lo space rock tra Hawkwind e Gong, senza far mancare l’energia delle chitarre distorte alla
maniera punk. Ancora tanta musica, ancora quella voce evocativa che si perde
nei meandri dello spazio, quel suono sconfinato, etereo, incantato.

Riannodando i fili possiamo
notare come questo musicista, ai più sconosciuto, sia stato presente in alcuni
album di culto della storia del rock, Tomorrow
dell’omonimo gruppo, S.F. Sorrow
dei Pretty Things e Never Never Land dei Pink Fairies, e in più abbia scritto
pagine memorabili a suo nome, come per l’appunto Think Pink. Ma Twink
rappresenta quel mondo che ha avuto il suo momento di gloria nella Londra della
seconda metà degli anni 60, dove psichedelia, improvvisazione, pop, rock, blues
e sperimentazioni varie ribollivano in un unico calderone, dando vita a musiche
affatto straordinarie. Un periodo irripetibile che John Charles Adler, insieme a pochi altri, ha tentato di tenere
vivo fino all’avvento del punk, trovando in questa ennesima rivoluzione
musicale, seppur parzialmente, alcune caratteristiche che lo hanno sempre
contraddistinto, prima fra tutte la voglia di suonare liberi, senza far troppo
caso alla tecnica o al virtuosismo.
Discografia selezionata
Tomorrow, Tomorrow, Parlophone Records/Sire, 1968
Pretty Things, S.F. Sorrow, Columbia, 1968
Twink, Think Pink, Sire, 1970
Pink Fairies, Never Never Land, Polydor, 1971
Pink Fairies, Live At The Roundhouse, Big Beat, 1982
Pink Fairies, Kill ’Em And Eat ’Em, Demon Records, 1987
Twink And The
Technicolour Dream,
You Reached For The Stars, Sunbeam
Records, 2013
Twink And The
Technicolour Dream,
Think Pink II, Sunbeam Records, 2015
Twink, Think Pink III, thinkpink50th.com, 2018
Twink, Moths &
Locusts, Think Pink IV, Noiseagonymayhem Records,
2019
pop