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lunedì 9 novembre 2020

Soft Machine, Robert Wyatt e la scena di Canterbury

 Venerdì 20 novembre si svolgerà, organizzata dall'università di Strasburgo, una conferenza sulla scena musicale di Canterbury. Ovviamente, vista la situazione, gli interventi saranno da remoto. Qui sotto c'è la locandina con l'elenco degli interventi e una serie di informazioni tecniche su come poter partecipare. 





Di seguito l'abstract del mio intervento. 

Il sistema dei cerchi concentrici: una metodologia per la definizione della scena musicale di Canterbury

 

La definizione di “scena di Canterbury” è sempre stata fonte di discussioni sia tra gli addetti ai lavori che tra gli stessi appassionati. L’estrema eterogeneità delle musiche solitamente definite canterburiane, ha provocato un senso di indeterminatezza, di ambiguità nel cercare di chiarire quali fossero le caratteristiche della scuola di Canterbury o, addirittura, di affermare l’esistenza della stessa.

Per questa nuova sistematizzazione è stato necessario adottare una griglia analitica all’interno della quale poter riconoscere e inserire le musiche che realmente costituiscono la scena canterburiana. Ma, nonostante questa griglia, le vicende musicali e i musicisti stessi spesso ci portano lontano dalla definizione di una musica autenticamente facente parte di quella scuola. Una sorta di appannamento che rende il lavoro di ricerca non centrato, ancora in parte indeterminato.

Quindi, una volta stabilita la griglia analitica, ci siamo attenuti al solo prodotto che è in grado di assicurarci una lettura ed una analisi il più possibile obiettiva: i dischi. Solo facendo quasi esclusivamente riferimento ad essi possiamo definire confini e caratteristiche peculiari della scena di Canterbury. In poche parole, invece di elencare le band e i musicisti noi ne elencheremo i dischi fondamentali. I lavori discografici verranno inseriti in un sistema di cerchi concentrici che ci permette di individuare allo stesso tempo il centro, le fondamenta, le propaggini, riducendo l’indeterminatezza nell’individuazione e nella caratterizzazione della scuola di Canterbury.  

Le caratteristiche del sound canterburiano possono racchiudersi in una serie di elementi e aggettivi sonori: l’intreccio tra armonie elaborate, passaggi strumentali e pop song, un certo approccio all’improvvisazione vicino al jazz ma non aderente completamente ad esso, suite e talvolta tempi dispari, atmosfere pastorali del patrimonio folk inglese, ironia testuale e anche musicale, infine una sonorità generalmente morbida, ricca di tastiere ed elegante. Ancora: accordi di settima, passaggi cromatici e soluzioni strumentali inaspettate, sconfinamenti limitati in territori sperimentali e improvvisazioni inserite generalmente in un contesto compositivo.

Questa griglia ha permesso di individuare nell’asse Caravan/Hatfield And The North/National Health e quindi in alcuni loro dischi, il primo anello del sistema, quello che determina maggiormente l’estetica canterburiana, dandone le coordinate e le principali caratteristiche.  Il secondo anello è costituito in gran parte da una serie di lavori legati all’asse Soft Machine/Matching Mole, mentre il terzo è costituito da alcuni lavori solisti di Kevin Ayers e dai Gong di Daevid Allen.  

 

  

pop

martedì 13 ottobre 2020

La materia viva

Dopo averlo sfiorato varie volte, mancato per un soffio o perso all'ultimo istante, sono riuscito finalmente a vedere Richard Sinclair in concerto dal vivo.

Bassista, chitarrista, cantante, autore, membro dei Caravan e prima ancora dei Wilde Flowers, poi con Hatfield And The North, Camel, oltre a svariate collaborazioni sempre tra Canterbury e dintorni, Sinclair di quella scena musicale è stato uno dei protagonisti, avendo contribuito negli anni a segnarne le coordinate artistiche. Di più, la sua voce, il suono del basso, le sue composizioni rappresentano forse il nucleo centrale della musica canterburiana, l'essenza stessa. Ma questo è un discorso che necessita di approfondimenti e analisi che non è il caso di trattare, per ora, su questo blog.

Interessante, invece, è stato scoprire come quella musica, nelle mani e nella voce di un Sinclair ormai in là con gli anni e in solitudine (ma accompagnato comunque da un bravo Gianluca Milanese al flauto), fosse ancora viva, pulsante e...inaspettata. Ricchezza armonica, progressioni di stampo jazzistico e  sommovimenti ritmici hanno reso le versioni di Share It, Keep On Caring, Disassociation, If I Could Do It All Over Again...ancora fresche e sorprendenti, pur in una dimensione intimista. E hanno mostrato anche le notevoli capacità strumentali e interpretative di Sinclair. Sembrava musica scritta ora, assolutamente priva delle incrostazioni e della pesantezza che tanta musica degli anni '70 porta con se. Ma tutto questo è frutto di un approccio creativo alla composizione, movimentato, ironico. E attraversato in lungo e largo da un impeto improvvisativo che ha reso per l'appunto viva la materia. Dove improvvisazione significa dare forme nuove alle composizioni, mutarle e reinterpretarle in un continuo rigenerarsi. Cosa che a Sinclair riesce benissimo.


Un'ultima annotazione, diciamo così, tecnica, che riguarda la differenza delle musiche autenticamente canterburiane da quelle classicamente progressive rock. In questa versione scarna e solitaria si può meglio osservare come i brani, in questo caso di Richard Sinclair ma il discorso vale per l'appunto per il resto della scena di Canterbury, siano composti e attraversati da armonie di stampo jazzistico, i famosi accordi di undicesima e tredicesima che Dave Stewart, tastierista tra gli altri degli Hatfield And The North e dei National Health, affermava essere una delle caratteristiche della musica di Canterbury. Questo tipo di accordi ammorbidisce le atmosfere e le espande, dandogli un senso di leggerezza, in contrasto con la durezza e l'ampollosità dovute all'uso massiccio di triadi in ambito Prog. Ancora, questa ricchezza armonica favorisce, per l'appunto, un approccio improvvisativo costante e permette una malleabilità non certo così comune nel rock. Se a questo aggiungiamo il disincanto, il gioco, l'ironia diffusa che stempera anche le situazioni più seriose e formali, quasi dissacrandole, beh potremmo forse dire di aver scoperto la formula segreta della musica di Canterbury. 

pop

venerdì 26 luglio 2019

Captain Capricorn

Lunga assenza di post dovuta alla scrittura di un corposo articolo su Radio Gnome Invisible, la trilogia dei Gong. Uscirà, spero, a settembre. Ma l'ascolto prolungato e le ricerche intraprese per l'elaborazione di questo scritto mi hanno portato ad alcune considerazioni.


Primo. Daevid Allen si conferma, forse suo malgrado, come la constatazione che spesso e volentieri la tecnica, se non accompagnata dalla creatività e dall'intelligenza, serve a molto poco in musica...e non solo. Tutta la carriera dell'australiano è connotata da una grande voglia di comunicazione, sensoriale ed extrasensoriale, una inesauribile forza creativa che trascende la tecnica musicale e riesce ad esprimere contenuti alti e altri al di là delle mere competenze tecniche. Certo, ha bisogno di avere intorno a se abili musicisti, ma cos'è la musica se non condivisione di idee e sentimenti, un'arte che quasi necessariamente si esprime in modo collettivo, presupponendo la presenza di sodali che partecipano alla creazione. E' solo dopo aver percorso questo processo che talvolta, non spesso, spunta fuori l'esigenza della creazione in solitudine.


Secondo. L'esperienza Gong, soprattutto nella trilogia, è qualcosa di particolare, unico per certi versi. Continui cambi di formazione, assenze del leader, conduzione collettiva e temporanee direzioni singole, tutto questo ha prodotto del materiale musicale di elevata qualità. Un mix di rock, jazz, musica etnica, psichedelia, sperimentalismo, Kosmische Musik, Terry Riley, tutto frullato insieme e offerto in una dimensione anche spirituale e fantastica, non solo come mero prodotto musicale.


Terzo. Uno dei rari esempi di non attaccamento alla fama, alla ricchezza, allo star system. Come per i Soft Machine, siamo in presenza di percorsi musicali che continuano con la stessa sigla ma senza i loro fondatori e leader. Anzi, essi stessi lasciano volentieri in altre mani ciò che loro hanno costruito nel corso degli anni. Come a dire basta, sono stanco ed è giusto che continuiate voi, se ne avete la forza e se le nostre idee non concordano più.
Quarto. Le avventure musicali di Allen andrebbero studiate in modo approfondito perché ancora ricche di spunti e di ispirazioni che farebbero la fortuna di molti musicisti. L'assenza di barriere stilistiche, un discorso complessivo riguardo i contenuti musicali e testuali che vanno da scenari fantasy a elementi ironici e nonsense, a riflessioni più profonde, spirituali e filosofiche. 
Quinto. Molto di quanto scritto ricorda le esperienze e la musica di un altro capitano, anch'esso "strano" e bizzarro, forse leggermente più ossessivo e inquieto di Daevid Allen: Captain Beefheart. E prossimamente vedremo di ragionarci sopra.


Daevid Allen, Melbourne 13 gennaio 1938 - Byron Bay 13 marzo 2015
Captain Beefheart (Don Van Vliet), Glendale 15 gennaio 1941 - Arcata 17 dicembra 2010


pop

Recensioni. Kevin Ayers and The Whole World "Shooting at the Moon"

  Kevin Ayers And The Whole World SHOOTING AT THE MOON Harvest 1970 Il secondo album solista di Kevin Ayers vede al suo fianco, al co...